Lezione 2^ - Erbe selvatiche: biancospino, borragine, calendula

Biancospino
Il genere crataegus presenta più di 200 specie e appartiene alla famiglia delle rosacee. Viene chiamato anche spina di maggio e l’ etimologia del nome latino deriva da “ krataios”, il nome con cui i greci indicavano il biancospino che significa “ forza e robustezza”.
É una pianta conosciuta già nell’ antichità quando veniva adoperata soprattutto per i suoi frutti a scopo alimentare
L’ uso fitoterapico iniziò solo nel 14° secolo quando venne utilizzato nella cura della gotta  e dei calcoli della vescica. Nella medicina popolare fu usato per la cura dei denti e per le verruche.
Nel 1800 si scoprì la sua utilità cardiotonica per una pura coincidenza. Le farfalle allevate da uno zoologo si erano ammalate ed indebolite, ma riacquistarono il loro vigore dopo aver mangiato foglie di biancospino.
Dagli antichi greci era indicato come simbolo di speranza e ornava gli altari durante cerimonie di nozze. In Francia la tradizione (1)  lo vuole colpevole di aver fornito la corona di spine per il martirio di Cristo con i suoi rami spinosi. Altri sostengono che fu il rovo a fare la corona di Cristo, in realtà studi fatti anche sulla Sacra Sindone non fanno cenno al legno con cui era fatta la corona di spine, sostengono non si trattasse di una corona, ma piuttosto di una specie di casco che ricopriva il capo di Gesù.
I Romani chiamavano il biancospino ”alba spina” per il candore dei suoi fiori. Rami messi in cucina o dietro il focolare proteggevano la casa dai fulmini; inoltre i Romani adornavano le culle dei neonati con fiori di biancospino per cacciare gli spiriti maligni.
Nella civiltà contadina del ‘700-800 si pensava che, mettendo sulle finestre delle stalle tanti rami di biancospino quante erano le mucche nella stalla, si tenessero lontane le streghe.

Il biancospino è una pianta cantata da poeti e romanzieri non solo per la sua bellezza, ma anche per le tante qualità sia come pianta medicinale che ornamentale. Certamente la più conosciuta è “Valentino” di Giovanni Pascoli (2) (n. S.Mauro di Romagna 1855- m. Bologna 1912), che inizia così:
Oh! Valentino vestito di nuovo
      Come le brocche dei biancospini!
Varie leggende sono nate intorno al biancospino: una narra che la Madonna, in un giorno invernale, stese i panni del Bambin Gesù sulla siepe vicina alla casa di Nazareth; la siepe brulla, come per miracolo si riempì di fiori candidi e profumati, il biancospino.
Un’ altra leggenda narra che il biancospino fiorì miracolosamente dal pastorale di Giuseppe d’ Arimatea,(3) il membro del Sinedrio che si rifiutò di condannare Gesù.

É una pianta molto nota presente in tutte le regioni dell’ emisfero boreale, dell’ Europa, dell’ Asia, di parte del nord America e Africa. In Italia si rinviene dalla pianura alla montagna fino ai 1500 metri, nei boschi ,nelle siepi e nei terreni moderatamente umidi,non solo lungo i litorali.
É una pianta longeva che può raggiungere anche i 500 anni ed è una pianta perenne.
Tra le numerose specie spontanee di biancospino, in Italia ne troviamo 5, ma il genere”oxiacantha” (selvatico) (4-5 -6) e “monogyna” (comune) (7)sono i più conosciuti e diffusi. Spesso presentano caratteristiche comuni, spesso entrambe le piante sono presenti nello stesso bosco, ma mentre il biancospino selvatico cresce  meglio all’ interno del bosco, quello comune è più amante di un ambiente secco e cresce in pieno sole.  La differenza sostanziale sta nella dentellatura delle foglie che è continua nel biancospino selvatico ed è limitata all’ apice nel biancospino comune e nei semi dei frutti che sono 2 nel selvatico e 1 nel biancospino comune; inoltre il  biancospino selvatico  non cresce nè in Sicilia, nè in Sardegna; in Sicilia cresce quello siciliano con una fitta pelosità.

Il biancospino (8) ha fusto liscio e corteccia giallastra nella gioventù, poi diventa rugoso, fornito di moltissimi rami glabri e spinosi di colore bruno- rossastro. Le foglie (9) sono alterne, semplici, glabre anch’ esse, divise in 3 o 5 lobi, spesso incise e dentate, la pagina superiore è di colore verde brillante, mentre quella inferiore è grigio- cenere, ma glabra. I fiori compaiono tra aprile e maggio, la fioritura è di breve durata; i fiori  (10-11)sono bianchi a 5 petali, profumati e riuniti a mazzetti, sono ermafroditi. Come colore fanno eccezione le varietà da giardino che hanno fiori rossi e sono senza proprietà terapeutiche. I frutti (12-13-14) sono drupe carnose a forma di sfera dal diametro di 6-15 mm, rossi intensi a maturazione con all’ interno 2 semi.
Generalmente viene piantato in luogo isolato per evidenziare la sua bellezza. Si adatta ad ogni tipo di terreno, non teme l’ eccesso di calcare, ma rifiuta i terreni troppo argillosi, sopporta i venti freddi e la siccità, cresce rigoglioso tanto in pieno sole quanto a mezz’ ombra.
Non piantare mai un biancospino vicino ad un ginepro o ad un frutteto, perchè potrebbe diffondere varie malattie batteriche, infatti il biancospino ha parecchi nemici, tra cui la “farfallina bianca” (15), i cui bruchi rosicchiano le foglie verso giugno, poi la ruggine.
Si riproduce per talea, innesto (fatto solo da esperti) e seme. I semi, che hanno germinazione molto lenta, si raccolgono a fine autunno, si conservano nella sabbia per 18 mesi prima di essere seminati in piena terra a primavera.
Le parti usate sono (16): fiori, corteccia e frutti.
I fiori vengono colti prima dell’apertura in primavera e fatti essiccare in luoghi aerati, i frutti a fine estate; questi ultimi possono venir essiccati in forno oppure al sole.

In cucina i frutti selvatici possono essere utilizzati per la preparazione di marmellate e conserve, ma poiché non hanno sapore particolarmente gradevole è meglio utilizzarli sempre uniti a qualche frutto di bosco. I frutti hanno una consistenza farinosa e un sapore insipido (sciocco).
I frutti vengono usati anche per preparare bevande.
Esiste una varietà di biancospino”azzeruolo” che fornisce frutti gradevoli e le cui bacche diventano in inverno cibo di molti uccelli.
Il biancospino “ azzeruolo” (17-18) è un piccolo albero (4-8 m) con chioma globosa. Le foglie alterne, lobate, caduche, hanno incisioni profonde e lobi triangolari. I fiori sono bianchi, profumati, riuniti in corimbi in numero di 10- 20, con 5 petali. Il frutto è un piccolo pomo (2-4 cm di diametro) di colore variabile dal rosso al giallo a seconda della varietà, con 3-5 semi grossi e duri.

 

Ricette:
Frittata di strigolo e biancospino
Lessare lo strigolo (19), (pianta erbacea con foglie a forma diversa, lanceolate, pelose sui bordi, fiori bianchi riuniti in pannocchie: si mangiano i germogli) in acqua salata e unirlo scolato e tagliuzzato a 3 uova sbattute in cui si sono disfatti 2 tomini piccanti di Chiaverano. Si aggiungono inoltre germogli di biancospino sott’ aceto.

Boccioli di biancospino in salamoia.
 Far bollire i boccioli per qualche minuto in acqua molto salata. Scolare e deporre in un vaso di vetro; sarà versato su di essi nuova acqua salata assieme a qualche foglia d’ alloro.

Bacche di biancospino.
200 g di bacche
250 g di zucchero
200g d’ acqua
La bacca del biancospino per poter essere conservata deve essere colta dopo i primi freddi, perchè è una bacca invernale. Le bacche migliori si lavano, si fanno sgocciolare, si mettono al fuoco coperte di acqua tiepida e si fanno bollire per alcuni minuti. Mentre si lasciano scolare, si mette al fuoco l’ acqua e lo zucchero, quando lo sciroppo inizia a bollire si uniscono le bacche , si fanno cuocere, mescolando spesso, finché lo sciroppo sarà ben penetrato. Si mette caldo nei vasi, si copre con un disco di carta imbevuta di rum e quando il tutto sarà raffreddato si chiudono ermeticamente i vasi.

Confettura di biancospino (20).
Bacche di biancospino
Zucchero
Acqua
1 baccello di vaniglia
Raccogliere le bacche rosse, lavarle, metterle in pentola coperte d’ acqua. Cuocerle e passarle al setaccio. Pesare la polpa ottenuta e rimettere al fuoco con il baccello di vaniglia e zucchero pari a 900 g per 1 kg di polpa. Cuocere fino ad ottenere la densità giusta. Invasare bollente, mettere il coperchio e rovesciare il barattolo fino a completo raffreddamento.

Il biancospino contiene olio essenziale, è ricco di vitamine e viene molto usato in alcune preparazioni dell’ odierna erboristeria per la sua azione provata a livello cardiaco e come sedativo generale.
Viene chiamato la valeriana del cuore perchè è stimolante cardiaco, dilata le arterie coronariche, migliora l’ afflusso del sangue, aumenta la forza di pompaggio del cuore, elimina le aritmie, previene le complicazioni cardiache negli anziani affetti da influenza o malattie bronco- polmonari..
Ha varie proprietà (21).
La corteccia e le foglie sono astringenti, febbrifughe e antidiarroiche.
I frutti sono astringenti, antiscorbutici se mangiati appena maturi. La parte più importante è costituita dai fiori che vengono raccolti in bocciolo Sono utili come sedativi del cuore, nell’ angina pectoris, nelle nevrosi cardiache, nei disturbi spasmodici degli arti e nelle vene varicose, mitigano le forme di insonnia accompagnate da vertigini, stati d’ angoscia e ronzii, frequenti nell’ arteriosclerosi e in menopausa.
Come sedativo del sistema nervoso e per combattere l’ arteriosclerosi utile anche il vino di biancospino: lasciare macerare per 1 settimana 20 g di fiori di biancospino in 1 litro di vino bianco, quindi filtrare spremendo bene il vegetale e conservare in bottiglia, consumarne 2 bicchierini al dì. 
Si possono fare vari infusi unendo al biancospino altre erbe e hanno effetti diversi a secondo dei componenti miscelati
Per l’ ipertensione si usano vari composti:
1
Mescolare 10 g fiori di camomilla, 10 g fiori biancospino, 10 g borsa del pastore, 10 g foglie di menta, 10 g olmaria radice in polvere in maniera omogenea; dosare 1 cucchiaio e porlo in infusione in 25 cl d’ acqua bollente per 10 minuti. Trascorso questo periodo filtrare e consumarne 2 mezze tazze mattino e sera, lontano dai pasti.
2
10 g biancospino, 20 g vischio, 5 g luppolo, 5 g sambuco; 2 cucchiaini di miscela in 10 cl d’ acqua bollente, filtrare dopo 30 minuti e bere 2 preparati al dì.
3
Usare 50 gocce di macerato di biancospino 2 volte al dì.

Miscelare 1 cucchiaio di fiori di biancospino, 1 cucchiaio di foglie di salvia, 1 cucchiaio di foglie di menta e 1 cucchiaio di foglie di melissa. Prelevare 1 cucchiaio del composto e versarvi sopra 1 tazza di acqua bollente, lasciare riposare per 10  minuti prima di filtrare; berne 2 tazzine al dì dopo i pasti contro l’ angina pectoris poiché assicura al cuore un maggiore apporto di sangue ossigenato.

Mescolare 20 grammi di fiori di biancospino e 20 sommità fiorite di maggiorana. Metterne 1 cucchiaio in infusione per circa ¼ d’ ora in 2 dl e mezzo d’ acqua bollente. Filtrare, consumare 2 tazze al dì lontano dai pasti: 1 al mattino e 1 alla sera prima di coricarsi: combatte ansia e angoscia.

Vino di biancospino, camomilla e melissa: mettere 20 grammi di fiori di biancospino, 10 g di fiori di camomilla e 5 g di melissa a macerare in 1 litro di vino bianco dolce ad alta gradazione alcolica per 7 giorni. Filtrare e conservare in bottiglia; consumarne 2 bicchieri al dì , uno mezz’ ora prima di coricarsi per combattere insonnia e stati ansiosi.
Contro la febbre e la diarrea usare il decotto di corteccia tritata, messa a bollire ½ ora in 1 l d’ acqua, bere 3-4 bicchieri al dì.
Esternamente il bagno con i fiori di biancospino ha effetto tranquillante.
Il biancospino è controindicato a chi soffre di ipotensione arteriosa, è sconsigliato in associazione alla digitale, agli spray decongestionanti nasali, non va usato in gravidanza, durante l’ allattamento;  perciò è bene assumerlo sempre dietro consiglio medico e rispettare le dosi.

 

Borragine
La borrago officinalis detta anche borrana appartiene alle Borraginacee.
Il suo nome deriva dal latino “borra” (tessuto di lana ruvido) per la peluria che ricopre le foglie. Altri lo fanno derivare dall’ arabo” abu araq” (padre del sudore) per le proprietà sudorifere della pianta; altri ancora dal celtico  “borrach” che significa coraggio, infatti veniva usata aggiunta al vino per infondere coraggio ai guerrieri.
Originaria dell‘ Africa del nord è stata coltivata per la prima volta in Europa dagli Arabi in Spagna da dove si è diffusa in tutto il continente.
Gli antichi Romani la usavano per decorare una casa dove veniva celebrato un matrimonio.
Presso i Greci ei Latini divenne un tonico nervino consigliato nella cura degli stati depressivi, nel mal di capo e nelle ubriacature.
Era apprezzata all’ epoca delle Crociate come antidepressivo; nel Medioevo veniva descritta come “generatrice di buon sangue” per le sue proprietà depuratrici e diuretiche; altri affermavano che la pianta fiorita, fatta cuocere nell’ acqua o nel vino, era efficace contro la debolezza di cuore e nella malinconia. Alcuni ritenevano che aumentasse la montata lattea nelle puerpere per cui venne soprannominata anche “ erba della salute”.
Una leggenda narra che anticamente i suoi fiori erano bianchi e divennero poi del colore attuale, blu-azzurri, perchè la Madonna vi si specchiò.

É una pianta che predilige le zone centro - meridionali d‘ Italia, dove forma vaste estensioni. É presente anche in Italia del nord sebbene in quantità più modeste; vive ai margini delle strade di campagna, lungo le scarpate delle ferrovie, nei campi non coltivati e ogni anno si dissemina in modo spontaneo. Esistono alcune varietà: borragine annuale, bianca, perenne, ma le caratteristiche sono simili.

É un erbacea selvatica annuale (22), con radice a fittone e fusto cavo alto circa 50-80 cm, ricoperto da una folta e ispida peluria biancastra, carnoso e ramificato. Le foglie (23-24-25) sono alterne, ovali, dentate, pelose, picciolate. I fiori di breve durata sono (26-27-28-29) di colore blu vivace, raramente bianchi, a forma di stella con 5 petali disposti a grappolo e compaiono da maggio a settembre. Per raccoglierli senza schiacciarli è consigliabile afferrarli per gli stami neri prominenti e staccarli dal calice verde. Se messi a macerare nell’ aceto per renderlo aromatico gli cedono il loro colore azzurro e per questa caratteristica, tempo fa, erano molto ricercati dai tintori.
I semi sono grossi, neri, romboidali e mantengono inalterate per anni le loro capacità germinative.
La borragine è gradita alle api (30), ha grande simpatia per le fragole, stimola la crescita delle rose  (31) e tiene lontani i bruchi dalle piante di pomodori (32).
Ho già detto che la borragine si dissemina spontaneamente, ma può essere anche seminata: in autunno, se si desidera una fioritura primaverile; in primavera per una fioritura estiva.
É bene servirsi di un terreno smosso, leggero, con un substrato sabbioso.
Le parti da utilizzare (33) sono fiori e foglie; il momento balsamico per la raccolta è il mese di giugno, ma le foglie possono essere raccolte in ogni periodo, secondo le necessità, già 2 mesi dopo la semina. Le foglie piccole servono per le insalate e quelle più grandi si fanno cuocere; la conservazione ha breve durata perchè le foglie appassiscono subito., quindi non sono adatte all ‘essiccazione.
Spesso la peluria, visibile soprattutto sulle foglie grandi, può risultare fastidiosa, utilizzare perciò quelle foglie solo dopo averle tritate; così è bene filtrare sempre accuratamente i preparati a base di borragine per eliminare i peli ed evitarne il consumo prolungato.

In cucina è tra le piante selvatiche una delle più usate. Originariamente la borragine si consumava solo come verdura, anche se le foglie cotte perdono gran parte del loro sapore. Le foglie fresche si usano in insalata, eccellenti per l’ insalata di cetrioli, ma si addicono anche alle insalate di pomodori e patate. Le foglie danno un sapore aromatizzante a yogurt e formaggi freschi. Possono anche essere fritte in pastella o utilizzate per preparare il ripieno di ravioli o tortellini; si usano anche per la preparazione d’ impasti per dolci.
Si possono preparare le foglie ripiene: usare le foglie più grandi, unirle a 2 a 2 e al loro interno inserire un dadino di mozzarella o prosciutto o acciuga a piacere, immergerle nella pastella e friggerle.
I fiori commestibili sono usati per guarnire insalate primaverili e gli Inglesi guarniscono i loro drink con questi fiori di un bel blu.

Ricette (34)
Burro alla borragine (35).
Fare ammorbidire 150 grammi di burro e batterlo fino a renderlo spumoso, aggiungere 2 cucchiai di borragine finemente tritata, 1 cucchiaio d’ aneto e 1 d’ erba cipollina, 1 cucchiaino di scalogno macinato (pianta erbacea con sapore di cipolla). Condire con il succo di 1 limone, sale e pepe. Formare un rotolo, avvolgerlo in un foglio di alluminio e conservare in frigo. Il burro spalmato sul pane ha un sapore squisito; può essere anche servito con arrosti, pesce e carne alla griglia.

Spaghetti alle erbe (36).
Far bollire 10 foglie di malva, 10 foglie di altea, 3 cime di borragine. Dopo averle scolate si aggiungeranno in un frullatore 20 foglie di melissa, 10 foglie di salvia, 1 manciata di basilico, noce moscata a piacere con olio e sale. Si deve ottenere un composto omogeneo che sarà versato sugli spaghetti, tipo salsa.

Frittata di borragine (37).
Lessare 500 grammi di borragine in acqua salata, strizzarla e tenerla da parte. Sbattere 3 uova aggiungendo 50 g di parmigiano, una manciata di timo, mollica di pane inumidita con latte, sale. Unire la borragine, porre sul fuoco e cuocere fino ad ottenere una frittata morbida e consistente.

Purè di fave con borragine (38).
500 g di fave già sbucciate
2kg di borragine
2 spicchi d’ aglio
Olio extra vergine d’ oliva
Sale
Mettere a bagno le fave disidratate la sera precedente, meglio le fave senza buccia perchè consentono la preparazione di un purè con meno grumi. Il giorno successivo mettere le fave in pentola a pressione coprendole con due dita d’ acqua e aggiungendo sale. Mettere un paio di spicchi d’ aglio nella pentola con il tutto e chiuderla. Da quando inizierà a fischiare, abbassare il fuoco e cuocere per 20 minuti.
Mentre le fave cuociono preparare la borragine lessandola con acqua e sale. Quando sarà pronta preparare il piatto mettendo il purè di fave ed accanto 1 o 2 forchettate di borragine, precedentemente condite con olio e peperoncino.
La borragine può essere sostituita dalla cicoria.
Questa è una ricetta di cucina povera, propria della cucina molisana.

 

La borragine ha proprietà (39) depurative, diuretiche, decongestionanti e toniche. In tutte le parti della pianta si trovano nitrato di potassio, calcio, magnesio, vitamina C e viene usata come pianta medicinale per la presenza di mucillagine che la rende emolliente e antiflogistica.
Il decotto (1 manciata di pianta fresca e tagliuzzata in ½ litro d’ acqua, bollire 20 minuti e bere durante il giorno con l’ aggiunta di miele o zucchero) aiuta a combattere le malattie dell’ apparato respiratorio, agevola la sudorazione e quindi abbassa la temperatura.
L’ infuso (1 manciata di pianta essiccata in ½ litro d’ acqua bollente, berne 3 bicchieri al dì) serve per sciacqui in corso d’ infiammazioni della bocca.
Come depurativo dell’ organismo preparare questo infuso: lasciare 20 g di fiori freschi in 1 l d’ acqua bollente per 10 minuti e berne 3 tazze al dì per 10 giorni.
Ancora come depurativo usare questo infuso misto: lasciare 20 g di borragine , possibilmente fresca, cicoria, tarassaco in 1 litro d’ acqua bollente per 10 minuti; filtrare e berne 4- 6 tazze al dì, di cui 1 al mattino a digiuno e 1 alla sera prima di coricarsi per 20 giorni.
A uso cosmetico l’ infuso, aggiunto all’ acqua del bagno, decongestiona e pulisce la pelle.
Il decotto casalingo (far bollire 1 cucchiaio di borragine in 1 litro d’ acqua per 5 minuti, poi filtrare: berne 1 tazza la sera prima di coricarsi) serve per gambe pesanti e caviglie gonfie che sono un disturbo imputabile alla cattiva circolazione.
Contro i calcoli biliari usare il decotto (bollire 20 grammi di borragine fresca per 3- 4 minuti in 1 litro d’ acqua e dopo 15 minuti filtrare: berne 2 tazze al dì).
Per attenuare il prurito utile anche l’ impacco di borragine (mettere in infusione 50 grammi di foglie fresche ben schiacciate in 1 litro d’ acqua).
L’ olio di borragine è utile per curare eczemi, psoriasi, nella perdita di elasticità cutanea, nella prevenzione delle rughe, nel rafforzamento delle unghie. L’ olio ottenuto dalla spremitura a freddo dei semi è piuttosto instabile e per mantenere il suo potere fitoterapico deve essere conservato al riparo dalla luce ed a una temperatura di 4 gradi centigradi.
Non usare la borragine in gravidanza e durante l’ allattamento.

Calendula
La calendula officinalis  chiamata anche garofano di Spagna, fiorrancio, calta, appartiene alle composite. Il suo nome per alcuni deriva dal latino ”calendae”, primo giorno di ogni mese, alludendo al succedersi perpetuo del tempo; secondo altri da una parola greca, che significa coppa-cesta, alludendo alla forma del fiore.
Fiore dell’ affanno e dell’ inquietudine perchè la leggenda vuole che il fiore sia nato dal pianto di Afrodite per la morte di Adone (40-dipinto del Tiziano, nato a Pieve del Cadore 1490, morto a Venezia 1576, a voce la leggenda).
Virgilio (41) (Publio Virgilio Marone, poeta latino, nato ad Andes, villaggio vicino a Mantova, 70 a. C., morto a Brindisi nel 19 a. C.) in una delle sue egloghe ricorda la calendula per il suo brillante colore e dopo aver citato le viole (42), il papavero (43), il narciso (44) e l’ aneto (45) ”screzia i molli giacinti (46) con il giallo del fiorrancio” (47).
Come tutti i fiori gialli e arancioni, anticamente era associato al sole. Il fatto che abbassi il capolino al tramonto era considerato un segno di mestizia, di lutto per la scomparsa del sole e questa credenza si è trasmessa  nella simbologia  che lo vuole simbolo del dolore, della noia e della pena.
Secondo una leggenda inglese rappresenta la gelosia sotto le sembianze di una zitella mai amata da nessuno , che, morendo, si  trasforma in calendula “gialla di rabbia”.
Secondo scrittori del 17°-18° secolo era simbolo del cortigiano adulatore. Il simbolo di Margherita d’ Orleans  (48) era una calendula  che girava intorno al sole con il motto ” Io non voglio seguire che il sole”
Margherita era nata a Blois nel 1645 e morì a Parigi nel 1721 (cugina del re di Francia Luigi X!V, sposò il futuro granduca di Toscana Cosimo III, ma il matrimonio fu infelice a causa della diversa cultura e nel 1675 ottenne la separazione e tornò in Francia).

 È originaria dell’Egitto e cresce da noi dalle zone mediterranee a quelle submontane, nei luoghi erbosi, nei campi, nei prati, in posizione soleggiata e in terreno non troppo arido, ricco, soffice e ben lavorato; si ritrova allo stato selvatico nell’Italia meridionale.
Già nell’ antichità era conosciuta per il suo potere antisettico e antinfiammatorio, le sue virtù medicinali furono apprezzate fino a tutto il medioevo, poi venne usata soprattutto a scopo ornamentale, per tornare in auge in fitoterapia verso la metà del XX secolo.
I messicani la considerano il fiore della morte. Una leggenda popolare dice che questo fiore, portato dai conquistatori, è cresciuto in Messico col sangue dei poveri indigeni, vittime della sete di potere e di oro dei bianchi.
In Germania, durante le festa di Pentecoste, è antica consuetudine inghirlandare i bovini  (49-dipinto del francese Hanri  Rousseau , pittore naif, n. 1844, morto 1910, definito il doganiere per aver lavorato tutta la vita negli uffici del dazio di Parigi) con fiori di calendula per incoraggiarli alla procreazione.
Da noi è spesso coltivato a scopo ornamentale e quindi è frequente la sua coltivazione come pianta da fiore; in commercio se ne trovano moltissime varietà: a fiori gialli, arancioni, di colori vivaci, semplici o doppi.
Secondo la tradizione, se i fiori al mattino rimangono chiusi, probabilmente pioverà (50).

La calendula è una pianta erbacea di alcuni cm d’ altezza (51-52), ha radice a fittone dotata di numerose radichette. Il fusto eretto e ramificato, ricoperto di peluria, spesso forma dei cespugli. Le foglie basali sono oblunghe, a rosetta, mentre quelle vicine al caule hanno margine sinuoso, sono lanceolate. I fiori sono dei capolini di color giallo–arancio (53-54-55-56-57- 58-59)  che possono avere anche un diametro di 10 cm; appena sbocciati hanno un buon profumo, simile al limone, che diviene poi sgradevole. L’ intera pianta è coperta da peluria e, strofinata, emana un gradevole aroma. Il frutto è un achenio arcuato.
La calendula preferisce terreni leggeri, ben drenati, anche se può crescere in qualsiasi tipo di terreno, anche sassoso; si può coltivare anche in ciotole.
La pianta va posta in pieno sole o all’ ombra parziale, posta a dimora in primavera inoltrata, poiché teme il freddo e le gelate tardive. Sopporta brevi periodi di siccità, ma per una fioritura abbondante, è bene annaffiare regolarmente la pianta e ogni 10-15 giorni usare del concime per piante in fiore, da mescolare all’ acqua dell’ innaffiatura.
La moltiplicazione avviene per seme: si mette in semenzaio, in letto caldo a gennaio - febbraio, oppure direttamente a dimora. É una pianta robusta , ma , se eccessivamente bagnata, è sensibile a parassiti animali quali afidi (pidocchi) e alla ruggine delle foglie.
Le parti usate sono: fiori e foglie (60).
I fiori , a secondo della varietà, vengono raccolti dalla primavera all’ autunno; possono anche venir essiccati (61), ma l’ operazione deve avvenire molto velocemente e sarebbe meglio farlo negli essiccatoi, per non perdere le proprietà terapeutiche. La tradizione tramanda anche la conservazione sott’ aceto dei fiori non ancora sbocciati.
Vengono raccolte anche le foglie, soprattutto le più tenere senza timore per la riproduzione. É opportuno  coglierla in pieno sole perchè in quel momento i suoi poteri terapeutici hanno il maggior effetto.
La calendula assomiglia molto all’ arnica (62), ma il suo potere fitoterapico è maggiore.
La calendula viene usata in cucina sia per arricchire insalate primaverili, sia per insaporire  e colorare brodi e risotti con i fiori che hanno proprietà simili a quelle dello zafferano, sia per preparare minestre a cui conferisce un sapore amaro.
I boccioli floreali possono essere conservati allo stesso modo dei capperi e quindi, conservati sott’ aceto, possono insaporire salse, insalate di riso e pasta, per accompagnare carni lesse.

RICETTE

Risotto alla calendula  (63).
Tritare finemente una piccola cipolla  con ½ spicchio d’ aglio e metterli a rosolare  in padella con una noce di burro e 2- 3 cucchiaiate d’ olio badando che il soffritto non annerisca. Aggiungere 350 grammi di riso, mescolare bene e poi versare ½ bicchiere di vino bianco secco; farlo evaporare e poi coprire con brodo caldo di pollo o di carne. Aggiungere man mano altro brodo fino a completa cottura del riso. Cinque minuti prima di spegnere unire una bella manciata di petali di fiori di calendula (detti lo zafferano dei poveri) che conferiranno al risotto un bel colore giallo.

Soufflè di patate alla calendula (64).

Lessare 500- 600 grammi di patate, lavate bene, con la buccia. Scolarle e, una volta tiepide, sbucciarle e passarle allo schiacciapatate. Pestare una manciata  di petali di calendula e di tarassaco. Scaldare in un pentolino ¼ di litro di latte  e farvi sciogliere 40 grammi di burro. Aggiungere la poltiglia di petali, sale, pepe bianco macinato al momento. Mescolare alla purea di patate e poi incorporare 2 tuorli di uova leggermente battuti a parte e infine i 2 albumi montati a neve; aggiustare di sale e pepe. Imburrare e spolverizzare con parmigiano grattugiato e versare il composto nello stampo. Passare in forno preriscaldato a 160° per 30 minuti e portare subito in tavola

Crostini alla calendula (65).
Miscelare i fiori di calendula sott’ aceto alla maionese e cospargere i crostini di pane tostato con la miscela ottenuta, disporre sopra il piatto dei petali di fiori di calendula che rallegrino la composizione.

Salsa alla calendula
Far scaldare ½ litro di panna fresca e aggiungere 1 cucchiaio di farina bianca, mescolando continuamente fino ad ottenere una crema uniforme e senza grumi, aggiungere 1 porro tenero, tritato finissimo insieme ad un pezzo d’ aglio. Mettere sul fuoco basso e far cuocere per 10 minuti, rimestando in continuazione. Ora versare 2 manciate di petali di fiori e continuare la cottura per altri 2- 3 minuti. Salare, pepare e versare in coppetta a raffreddare.
La salsa si accompagna bene al pesce e a carni lesse.

Boccioli sott’ aceto (66).
Raccogliere i fiori perfettamente chiusi, eliminando il gambo, lavarli sotto acqua corrente per eliminare residui di terra e poi metterli in un canovaccio pulito ad asciugare. Trasferirli in 1  terrina, alternando strati di sale grosso e lasciarli per 24 ore. Trascorso tale periodo sciacquare in aceto i boccioli e distribuirli in vasetti di vetro asciutti, inserendo rametti di dragoncello e grani di pepe, coprire con altro aceto, premere e far uscire tutta l’ aria e poi chiudere.
Si possono usare anche boccioli di tarassaco, pratoline  o nasturzio (67-68-69).
Il nasturzio è una pianta con fusto  prostrato o ramificato, foglie leggermente carnose, fiori rossi, gialli, arancioni, anche variegati. Viene coltivato in giardino per la formazione di aiole, ma può essere coltivato anche in vasi e fioriere  e viene utilizzato in campo fitoterapico per infezioni alle vie urinarie e respiratorie.

 

La parte medicamentosa è costituita dai fiori e dalle foglie che contengono olio essenziale, acido salicilico, mucillagine, principi amari con proprietà (70) coleretiche, antisettiche, diuretiche, cicatrizzanti, emmenagoghe.
La calendula aiuta  la cicatrizzazione delle ferite,  allevia i dolori mestruali, la gastrite, le ulcere, agisce contro le macchie della pelle, i foruncoli, l’ acne, gli eczemi, le dermatosi; ottima per le ustioni e le bruciature, per disinfettare e contrastare le infiammazioni; ha proprietà antibiotiche contro le punture d’ insetti e di meduse, su piaghe e ascessi.
Il decotto (bollire 1 cucchiaino di fiori essiccati in 2 litri e mezzo d’ acqua, riposare per 10 minuti, filtrare, berne 2 tazze a digiuno) aiuta a combattere gli stati influenzali, la tosse e il raffreddore.
Sempre il decotto serve per lavaggi o per imbeverne compresse da applicare per 30 minuti su pelle infiammata, arrossata o secca e su mani screpolate.
L’ infuso (1 manciata di fiori essiccati in 1 litro d’ acqua bollente; tenere in infusione per 15 minuti e bere 3 bicchieri  al dì prima dei pasti) è consigliato in caso di mestruazioni dolorose; si consiglia di iniziare 10 giorni prima della data prevista.
L’ infuso passato sulla pelle  con cotone combatte i punti neri e tonifica la pelle.
Per combattere la foruncolosi mescolare in modo omogeneo 3 g di fiori di calendula, 30 g di frutti di prugnolo, 20 g di foglie di salvia. Dosare 40 g e farli bollire 7- 8 minuti in 1 litro d’ acqua; lasciar riposare per 15 minuti e filtrare: berne 1- 2 tazze al dì lontano dai pasti per 15 giorni. Usare questo infuso anche come lozione per pelli delicate e lavaggi per le parti intime.
Per ridurre le verruche o i calli  raccogliere le foglie fresche, lavarle e spremerle servendosi di una centrifuga elettrica ad uso domestico; usare il succo da applicare fasciando e lasciando agire per circa 30 minuti. Ripetere il trattamento fino al distacco del callo o della verruca.  Il succo agevola la cicatrizzazione di piaghe, piccole ferite, fuoco di S. Antonio.
Per le scottature applicare fiori freschi tritati lasciandoli in posizione per almeno 30 minuti e ripetere 2-3 volte al dì.
Contro la flebite, le ulcere da vene varicose, le fistole, i geloni e le micosi dei piedi usare la pomata di calendula. Tritare 4 manciate abbondanti di foglie, gambi e fiori di calendula, riscaldare 500 g di grasso intestinale di un maiale  oppure di buono strutto di maiale, come se si dovessero friggere delle cotolette. Versare le calendule tritate in questo grasso bollente e soffriggerle brevemente, dare una girata e togliere la padella dal fornello. Coprire e lasciare riposare per una giornata. Il giorno seguente riscaldare il tutto leggermente e, filtrandolo attraverso un panno, travasarlo in recipienti puliti.