Lezione 5^ - Levone, Rocca, Corio, Balangero, Mathi, Prascorsano, Forno, Cuorgnè, Salto, Castellamonte, Ribordone -  Prascondù

Levone

A Levone, fuori dal paese, si può ammirare un piccolo, grazioso santuario, consacrato a Maria Vergine Consolata, o Consolatrice.

La cappella è circondata da un porticato e sormontata da un campanile a pianta triangolare, non insolita in Canavese

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Nel sito istituzionale del Comune di Levone troviamo una pagina  che narra l’origine e le vicende successive del Santuario.

La costruzione del santuario è legata ad una particolare storia. Nell’estate del 1770 diversi agricoltori si trovavano a lavorare nei campi in regione Spina quando sopraggiunse un temporale. Un levonese stava percorrendo la strada con la sua mula che trainava un carro colmo di calce da smerciare. Tutto ad un tratto un fulmine colpì la mula, la quale crollò a terra come morta. L’uomo venne colto dalla disperazione poiché, all’epoca, possedere un animale da traino costituiva un grande tesoro: fu così che egli si inginocchiò di fronte ad un pilone votivo posto all’incrocio di due strade e iniziò a pregare la Madonna dipinta sul pilone. Dopo pochi minuti la mula si rialzò, pronta per proseguire il proprio cammino. Probabilmente l’animale fu soltanto stordito dal fulmine, tuttavia tutti gli agricoltori che videro la scena gridarono al miracolo. Gli abitanti di Levone, per ricordare l’evento, presentarono istanza alla Regia Soprintendenza al fine di ottenere il permesso di costruire una chiesa  in vece del pilone: il santuario venne edificato nel 1774, su rilievi dell’agrimensore Francesco Mollo di Busano e progetto dell’architetto militare Giuseppe Ogliani di Torino; il pilone è tuttora visibile dietro all’altare a cui è stato inglobato. Il porticato esterno venne costruito nel 1884 per volere del parroco don Bosio. Successivi eventi miracolosi legati alla devozione verso la Beata Vergine Consolata hanno reso il santuario centro della religiosità levonese: sui muri esterni della chiesa appaiono molti affreschi ex-voto fatti dipingere per grazia ricevuta; ognuno di essi appartiene ad una famiglia locale.

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Credo utile ricordare, anche se ciò non è strettamente attinente al tema di questi incontri,  che Levone visse in prima persona la vergognosa “caccia alle streghe” (in Canavese chiamate “masche”), scatenata dalla chiesa che aveva la spudoratezza di chiamarsi Cristiana. Un documento del 1474 elenca 55 capi d’accusa rivolti contro 4 donne di Levone imputate di stregoneria. Le sventurate si chiamavano Antonia de Alberto, Francesca Viglone, Bonaveria Viglone  e Margarota Braya. Processate dalla “Santa (si fa per dire) Inquisizione”, furono condannate al rogo. Solo Margarota riuscì a fuggire, evitando così di venire arsa.

 

Rocca Canavese

Giunto a Rocca, Antonino Bertolotti, sempre attento agli edifici sacri, annota nelle sue Passeggiate nel Canavese:

Altra chiesa, anche molto antica, è quella, detta Madonna di S. Alessio, che trovasi a levante del paese sovra un piccolo colle lungi un chilometro, e posta nel centro del cimitero. Si vuole che abbia servito anche per parrocchia.

In altri documenti è chiamata Chiesa di Santa Maria. Infatti, già in un elenco del 1386 compariva come “Ecclesia Sancte Marie de la Rocha”.

La chiesa perse la dignità di chiesa parrocchiale verso il XIV secolo quando il villaggio, cosa non inconsueta a quell’ epoca, per motivi di sicurezza si spostò a ridosso del castello. Nel neonato ricetto si edificò una nuova chiesa parrocchiale, ovviando alla scomodità di raggiungere Santa Maria della Rocca, che rimase come chiesa cimiteriale.

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Essa, con lo scorrere dei secoli, fu ampiamente rimaneggiata  e  solo il campanile ci attesta la sua antica origine (probabilmente ai primi decenni del XII secolo), con la sua struttura chiaramente romanica: è alto 12 metri, diviso in tre piani, presenta lesene angolari e strette monofore, mentre la cella campanaria ha una bifora su ogni lato.

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Corio

A S. Genesio era dedicata una Pieve in tempi molto antichi: si ipotizza addirittura al sec. IV o V, anche se i primi documenti che ne fanno cenno risalgono solo al 1332. Più tardi le si affiancò anche la dedicazione a S. Anna, perciò l’attuale parrocchia è intitolata a S. Genesio e a S. Anna. Nel 1742 l’antica pieve fu demolita, perchè era ormai divenuta insufficiente per l’aumentata popolazione e, fra il 1742 ed il 1749, la si ricostruì in forme barocche, su progetto dell’ing. Serravalle ed a spese dei paesani.

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È  interessante leggere alcune pagine del Bertolotti (“Passeggiate  nel Canavese”,VIII, 134 e segg.).

Morto nel 1420 il pievano Bracco ne aveva il posto  D. Gio. Bech di Lanzo, il quale rassegnava nel 1422; veniva nominato Don Guglielmo Droengo di Cuorgnè, il quale, come risulta dall’archivio di Stato romano, a mezzo di D. Benedetto Boscallo, rettore di S. Ponzo “de canapicio”, pagava l’annata alla Camera apostolica, in ragione di cinquanta lire turonesi di piccolo peso, che erano il frutto della pievania di S. Genesio ...

I nobili, avendo il patronato della pievania, naturalmente procuravano di farla fruttare a favore di qualche loro membro, specialmente poi quando questo era benedettino, poiché quest’ordine aveva in Rocca e Corio dei possessi ...

Nell’anno 1585 l’ordinario diocesano trovava nella sua visita pastorale, che il parroco era in molta miseria e così la chiesa; minacciò pertanto dell’interdetto il comune [nel diritto canonico, la censura o pena ecclesiastica spirituale con cui sono vietati ai fedeli i divini uffici, alcuni sacramenti e la sepoltura ecclesiastica senza che si intenda sciolta la comunione con la Chiesa, come invece avviene con la scomunica] se non provvedeva la pisside, altri arredi sacri mancanti ed il fonte battesimale in marmo. Diede sei anni di tempo a fabbricare una sacrestia, due per ristaurare la chiesa, specialmente nel pavimento e nel tetto. In quanto alle cappelle di S. Giovanni e Bernardino, e di S. Pietro campestri dovevano essere ristorate fra sei mesi o distrutte.

Non deve far meraviglia tale stato, cagione precipua era la nomina di titolari nobili, che si godevano i proventi della pievania, lasciando un buon diavolo di prete ad adempiere i pesi ed a celebrare le funzioni. I Biandrati, avendo il patronato, avrebbero dovuto pensare al buon mantenimento della chiesa; ma eglino lasciavano invece che la popolazione pensasse a ciò, se credeva. Questa impoverita dai balzelli feudali e dalle guerre, che nel secolo XVI straziavano il Piemonte, occupato ora da Francesi ora da Spagnuoli, non potevano far altri sacrifizi pel culto. In fatto addì 15 dicembre 1547 i Biandrati dovevano giurare fedeltà al Re di Francia pei loro feudi, fra cui Corio.

In altra visita pastorale del 1594 l’arcivescovo trovava le chiese e la parrocchia in miglior stato; ma quella di San Genesio essendo diventata piccola in proporzione degli abitanti, ordinò alla comunità d’ingrandirla.

 

 

Balangero

In regione Corsani, nei pressi del torrente Banna, lungo l’antica strada che da Chivasso portava a Lanzo, all’inizio del XVIII secolo,  sulle rovine di un antico oratorio romanico, venne costruito il santuario della “Madonna dei Martiri”, in ringraziamento per la sconfitta di un esercito invasore.

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Il Piemonte, infatti, aveva dovuto sottostare alla devastante occupazione dei Francesi, che giunsero ad assediare Torino. Nel 1706, con l’appoggio degli Spagnoli, terminò l’assedio e negli anni successivi, con i trattati di Utrecht e Rastatt (1713 e 1714) Vittorio Amedeo II, pur dovendo rimanere nell’ambito di influenza degli spagnoli, poté governare sui suoi territori, compresi il Monferrato, Alessandria, Valenza, la Lomellina, la Valsesia ed il regno di Sicilia che poi, con il trattato dell’Aia (1720) fu ceduto all’Austria in cambio della corona di Sardegna.

Terminato quel terribile periodo, i Balangeresi vollero dimostrare a Dio la loro gratitudine edificando il santuario. La denominazione “dei Martiri” ha un’interessante origine: secondo la tradizione, nel 1706, durante la costruzione, che sostituiva un edificio medievale, vennero alla luce ossa umane emananti un “soavissimo odore”, che la devozione popolare attribuì ai martiri cristiani della legione tebea.

 

Mathi

La chiesa della confraternita dei Santi Rocco e Sebastiano, che si trova in piazza Caporossi, fu costruita in seguito alla pestilenza del 1522. Recentemente è stato rifatto il tetto ed è stata ridipinta la facciata. Dell’originale impianto cinquecentesco tuttavia non rimane oggi più nulla. Una parola merita l’agile campanile, la cui sommità è abbastanza notevole, quantunque  non s’accordi del tutto con il resto dell’edificio; il suo orologio  testimonia la bravura dei locali fabbri ferrai.

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Prascorsano

 

La chiesa  cimiteriale del Carmine risale all’XI (o XII) secolo.

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Essa conserva un pregiato ciclo di affreschi, del XV e XVI sec, con raffigurazioni sacre, un presepio e una Madonna della Misericordia *** 57 ***: quest’ultimo affresco è di Bernardino Rossignolo da Trino ed è datato 1524.  Altri affreschi sono attribuiti ad anonimi defendenteschi e forse a Macrino d’Alba. *** 58-59 ***

Lasciamo la parola al Bertolotti (VI, 432), come al solito attento a cogliere curiosità, che annota con rapidi tocchi.

Il prevosto D. Ciocato di Barbania, ora defunto, mi accompagnò tosto a vedere l’antichissima parrocchiale della Madonna del Carmine, che ha vicino il cimitero, servendo ora solo più ad uso di Confraternita ...Una piccola navata laterale è antichissima, con vecchi dipinti figuranti Santi. In questa chiesa conservossi la chiave della vetusta cappella di S. Stefano, ove era sotterrata l’Adelaide. Superstiziosamente si correva quivi dai morsicati da cani arrabbiati per essere tocchi dalla detta chiave, creduta miracolosa.

Un’altra chiave altrettanto taumaturgica era conservata nella chiesa di S. Stefano del Monte di Candia (di cui parlerò in altra lezione). 

Nei casi di morsi di cani “arrabbiati”, la chiave vaniva arroventata e applicata sulle ferite in modo da cauterizzarle: questo doloroso rimedio, se applicato in tempo, a volte salvava il poveraccio. Il Bertolotti però, con una punta di ironia, conclude:

L’ultimo venuto (per farsi salvare) fu visto morire sul posto dal prevosto suddetto. L’arcivescovo Franzoni fece ritirare detta chiave, la quale dovrebbesi ritrovare negli archivî della Curia.

 

 

 

Forno Can.

 

 

A poco più di tre chilometri dal capoluogo sorge il Santuario dei Milani, nella borgata omonima fondata, secondo la tradizione, nel XII secolo da alcuni milanesi che lì si erano stabiliti. 

In origine sul luogo dell’attuale santuario venne innalzato un pilone con l’immagine della Madonna per ricordarne l’apparizione a un pastorello sordomuto che, in seguito alla visione, aveva riacquistato l’uso dell’udito e della parola (come vedremo fra poco a proposito di Prascondù e quando tratteremo di Ozegna); intorno al 1250 il pilone fu trasformato  in una cappella che nel 1367 fu ampliata fin quasi ad assumere le attuali proporzioni. 

Meta di devoti pellegrinaggi, il santuario, dalle forme semplici e armoniose

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è preceduto da un porticato; i pellegrini che vi si recano trovano ospitalità nell’annessa foresteria.

Il Comune di Forno è comproprietario, con Levone e Rocca, della cappella-santuario, che si trova al culmine del monte Sapegna, dedicata alla Madonna della Neve, costruita nel 1673 a seguito di una delle tante  pestilenze, che in secoli andati devastarono il Canavese.

Nel sito istituzionale del comune di Levone si legge un’altra curiosità.

La cappella è edificata nel punto più alto del territorio levonese, 925 metri s.l.m., al confine con i Comuni di Rocca e Forno Canavese. Il suo nome non è legato alla posizione geografica, ma ricorda la miracolosa nevicata che si verificò a Roma nell’agosto del 356 d.C. nel luogo in cui la Madonna apparve a Papa Liberio, tanto è vero che la celebrazione, oggi curata dal Gruppo Alpini di Rocca Canavese, ha luogo il primo martedì di agosto.

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Anche se ha ben poca attinenza con l’argomento del corso, aggiungo  che anche Forno fu coinvolto in quella serie di eventi vergognosi di cui si macchiò purtroppo la Chiesa Cattolica, cioè la caccia alle “streghe” o “masche” come si chiamavano in Canavese.

 

Cuorgnè

A Cuorgnè, già nel 1154 esisteva una pieve, dedicata a San Dalmazzo, che con tale dignità rimase fino a metà del XIV secolo, allorché da pievania divenne prepositura, retta quindi da un prevosto. Nel 1560 fu elevata a parrocchia e nel 1575, divenuta insufficiente a contenere tutti i fedeli, venne ricostruita e in tale occasione se ne cambiò l’orientamento. Nel XIX secolo, dopo vari incidenti, quale, il 1° settembre 1804, il crollo di un pilastro che ne minacciò la stabilità,  fu ristrutturata secondo lo stile neoclassico.

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Nell’interno vi è un affresco della Madonna di Rivassola, protettrice della città, che la tradizione vuole sia opera di un cuorgnatese che l’avrebbe dipinta nel 903.

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Non sempre è possibile entrare in chiesa, ma vi è, a fianco, una piccola cappella in cui, oltre ad altre immagini sacre si può vedere una copia a mezzo busto della Madonna

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Il Bertolotti (VI, 333 e segg.), riguardo la Madonna di Rivassola, scrive alcune pagine meritevoli di attenzione.

In quanto al simulacro della Madonna di Rivassola,... consta che fuori il recinto di Cuorgnè, nella regione Trocne, già nel 903 vi era una cappella a M. V. delle Grazie. L’antica immagine credesi fatta dipingere a fresco da Eusebio Trocne sul modello di quella attribuita a S. Luca, la quale Eusebio aveva veduta, e ne aveva preso i lineamenti su carta pecora ... Detta cappella, verso il 1102, per opera di briganti alpini, che volevano assaltare il borgo, fu rovinata in modo da restarvi soltanto più l’affresco, qual piliere, che diventò miracoloso maggiormente ... Nel 1494 i Corgnatesi pensarono a portare il piliere portentoso nel recinto; fabbricarono per ciò una cappella, vicino ad una via, detta anticamente “Salyorum”, e poi Rivassola; nel 1498 segarono il muro, trasportando con solenne pompa l’effigie nella cappella. Allora i devoti si raddoppiarono, venendovi anche da lontani paesi; e pei miracoli l’abate Cristoforo di Valperga, prevosto di Cuorgnè e primo rettore della cappella, ottenne dal pontefice Leone X l’accordo di molte indulgenze ... Introdotti nel borgo i PP. Minori conventuali di S. Francesco, pei quali si costrusse un’ampia chiesa, si pensò di portarvi la miracolosa effigie. Nel trasporto del macigno sulle spalle si ruppero le funi, per lo che cadde lo stesso a terra, senza che avesse la più piccola lesione, e per ciò gridossi al nuovo miracolo.

Fu posto in uno speciale cappellone e restovvi per moltissimo tempo ...

Soppressi gli ordini religiosi e dei miracoli essendosi perduta la memoria, rimase l’effigie fino al 1825 negletta. Addì 19 agosto di detto anno si pensò di portarla nella parrocchiale con grande solennità e concorso, come fecesi, a mezzo di 20 e più uomini, che con ordigno trasportarono l’effigie, in forma di prisma, sulle spalle. Ed anche in tal occasione vennero nuove indulgenze dal Papa. Nel 1828, addì 22 agosto si ottenne da Roma di incoronare il simulacro; ma per le gravissime spese, non si compì l’opera che nel 1836, ultimo giorno di luglio. Vi vennero l’Arcivescovo di Torino, l’Intendente e Vice intendente, e per tre giorni continui durò la festa...

Ora vedesi in detto luogo l’affresco, ben conservato, che rappresenta M. V. seduta su una specie di trono col bambino Gesù, vestito in guarnelletto (cioè un tessuto di bambagia e canapa), il quale le posa sulle ginocchia, sostenuto dal braccio diritto. Tiene la V(ergine) fra il pollice e l’indice della sinistra un giglio; un largo ammanto cosparso di fiori le avvolge il corpo. Il Divino pargoletto scherza con un augelletto, tenendo con la destra il mondo.

Antonino Bertolotti ci segnala anche un’altra cappella: ...La B. V. della Neve annessa al cimitero ... Il cimitero antico era presso la parrocchiale, ma nel 1798 fu portato vicino alla detta cappella campestre, dedicata alla Madonna della Neve.

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A Salto, frazione di Cuorgnè, vi è il santuario di Santa Maria della Piazza che, costruito nel 1645, per conglobare un affresco risalente al 1405, cui la fede popolare attribuiva eventi miracolosi.

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Sempre nel territorio di Salto, ma in una posizione  molto meno facile da raggiungere, vi è il santuario della Madonna Consolata di Belice.

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Castellamonte

Prima di spendere qualche parola e vedere immagini relative a Castellamonte, vale la pena  di farci guidare dal Bertolotti alla...cappella della frazione Fillia col suo piccolo campanile. È dedicata a S. Defendente, protettore contro l’infestazione dei lupi. Esisteva già, 200 anni ora sono, e la scelta di tal santo deve attribuirsi senza fallo all’abbondanza di detti animali, che trovavano ivi un luogo molto adatto per loro.

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Se si arriva da Cuorgnè, alla periferia di Castellamonte si vede il camposanto, ove trovasi la chiesa cimiteriale di San Sebastiano, esistente già prima del 1600, di interessante fattura, anche se qualche restauro potrebbe darle maggiore dignità.

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Parlando di Castellamonte, anche se l’argomento esula un po’ dalla  tipologia di edifici sacri che andiamo visitando, voglio accennare rapidamente alla chiesa parrocchiale, dedicata ai santi Pietro e Paolo. Essa fu progettata dal famoso architetto Alessandro Antonelli cui si devono a Torino la mole che da lui prende il nome, cioè Mole Antonelliana, ed a Novara la cupola di San Gaudenzio. Secondo il suo progetto, la chiesa parrocchiale di Castellamonte avrebbe dovuto occupare una superficie di poco inferiore a quella di S. Pietro a Roma. I lavori iniziarono nel 1842, ma il faraonico progetto, per mancanza di fondi, dovette essere accantonato per un edificio meno grandioso, realizzato nel 1875 ad opera dell’architetto Formento.

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“Del progetto iniziale rimangono le mura esterne

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 realizzate con pietre provenienti dal torrente Orco alternate a mattoni rossi che, per la loro forma circolare sono conosciute con il nome di Rotonda Antonelliana ... Nella piazza principale della Chiesa si erge solitario il campanile romanico del XII sec. che nel 1762 è stato sopraelevato in stile barocco per realizzare una cella campanaria”.

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Ribordone - Prascondù 

Ribordone è un paese che accentra in sé varie frazioni: Gabardone, Talosio, Schiaroglio e Verlucca.

Superata la frazione di Talosio, una strada si inerpica fino a quota 1321 metri dove sorge il santuario della Madonna di Prascondù (prato nascosto), originato da una cappella eretta nel 1620 dove la Vergine apparve ad un pastorello. Col tempo vari ampliamenti hanno portato all’attuale santuario, dotato anche di un ospizio per i viandanti che  in passato di qui salivano al colle del Crest per poi scendere a Forzo nella valle del Soana. Il santuario, che conserva una pregevole icona secentesca in legno, è tutt’oggi meta di devoto pellegrinaggio, specie nell’annuale ricorrenza dell’ “apparizione”, che cade il 27 agosto, quando la bella statua della Vergine, incoronata per mano del cardinale Richelmy nel 1904, viene portata in processione attraverso l’incantevole ambiente alpestre.

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Nel fascicolo “Cenni storici sul Santuario della Madonna di Prascondù in Ribordone” – Scuola tipografica artigianelli, Ivrea, 1929 – si leggono pagine molto  interessanti che riguardano la storia del Santuario. A cominciare dal motivo che portò all’edificazione del Santuario.

È una vicenda che ha un sapore di narrazione agiografica, in cui è difficile separare la realtà dal mito, dalla leggenda, ma che nella sostanza si può accettare per vera.

Nel dicembre del 1618, un certo Giovanni Berrardi con suo figlio Giovannino ed altri tre compagni erano andati in Lombardia per il loro mestiere di calderaio, a quel tempo tipico degli uomini di Ribordone e di altri paesi della zona.

Una sera mentre tutti erano riuniti per recitare le orazioni prima del riposo notturno, Giovannino si rifiutò di pregare: di fronte al caparbio rifiuto del figlio, il padre, infuriato, lo maledisse gridandogli: “Che tu non possa parlare mai più!” e nel contempo lo picchiava selvaggiamente, tanto che Giovannino, sotto quella gragnuola di colpi, svenne e malgrado tutte le cure non riprese i sensi fino al mattino, ma da quel momento non poté più articolare parola. Il padre, disperato, si convinse che Dio lo aveva esaudito e nello stesso tempo punito per la sua maledizione, perciò fece voto di condurre, l’anno successivo, il figlio in pellegrinaggio al Santuario di Loreto perchè la Madonna ottenesse la grazia della guarigione. Intanto però, nel viaggio di ritorno a casa, interpellò i migliori medici delle città attraversate, ma nessuna delle cure prescritte risultò efficace. Giunti a casa, alla grave notizia si può facilmente immaginare quale fosse la disperazione materna. Il padre, poi, dovette andare in quel di Vercelli per lavorare, mentre Giovannino rimase a casa ove badava al gregge. Il padre Giovanni, venuta l’estate, trovandosi in ristrettezze finanziarie, pensò di rinviare l’adempimento del voto.

Il 27 agosto 1619 Giovannino stava pascolando il gregge nella valle di Prascondù, quando gli apparve una donna ben vestita e con un velo in capo, la quale senz’altro l’assicurò che era la Madonna, e gli soggiunse che era venuta apposta per insegnargli quello che avrebbe dovuto fare, se desiderava di ottenere la grazia da tanto tempo invocata. Gli disse pertanto che in primo luogo gli conveniva fare con suo padre il pellegrinaggio a Loreto, e che poi avrebbe dovuto persuadere il popolo di Ribordone ad erigerle in quel luogo stesso una chiesa, in cui si dovessero compiere per l’avvenire alcune pratiche divote, che Ella stessa si degnava di specificare.

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Corse immediatamente il giovane a dar l’annunzio a sua madre, che si trovava in casa, e – cosa mirabile – per due ore poté liberamente parlare per narrare alla madre sua, e ad altre persone accorse, la grande bontà della Madonna verso di lui, e per esporre a nome di Lei quello che si doveva fare. E dopo eseguita la fedele ambasciata, con dolorosa meraviglia degli astanti, restò nuovamente privo della favella.

Il padre, rincasato, rimase impressionato  da quel fatto straordinario e decise di preparare immediatamente il necessario per il pellegrinaggio. Con il figlio ed un certo Martino Francesetti, suo compagno di lavoro, giunse a Loreto il giorno di Natale. A Santo Stefano i tre ripresero la via del ritorno.

Passando, a poca distanza da Loreto, dinanzi ad una croce, eretta sul fianco della strada, il buon Giovannino si sentì infiammato, come narra egli stesso, da un insolito sentimento di divozione, e inginocchiandosele tosto innanzi, recitò mentalmente una breve preghiera. Ed ecco che dopo qualche minuto si alza tutto raggiante di gioia, e scioglie la sua lingua per lodare Iddio, ringraziare Maria Santissima del miracolo compiuto.

La favella era dunque riacquistata: bisognava pertanto affrettare il passo alla volta del proprio paese, per farvi eseguire gli ordini della Madonna.

La fama del miracoloso evento superò i confini di Ribordone e si espanse in tutto il Canavese, tanto che il Vescovo incaricò il Vicario Generale, canonico Pietro Bellino, che il 13 e il 14 giugno del 1621 si recò a Ribordone per interrogare tutti i testimoni della vicenda.

Già in precedenza, però, la gente di Ribordone, convinta della veridicità del miracolo, aveva immediatamente iniziato la costruzione della chiesa nel luogo indicato dalla Madonna, tanto che il 14 giugno il Vicario Generale poteva concludere i suoi interrogatori ante capellam noviter constructam, cioè davanti alla cappella recentemente costruita.

Naturalmente la cappella venne dedicata alla Madonna di Loreto, la cui immagine fu collocata sopra l’altare.

Purtroppo, in un inverno particolarmente rigido e nevoso, una valanga precipitò sulla chiesetta e la distrusse completamente.

Ma i Ribordonesi non smarrirono per questo la loro fede e, senza perdersi d’animo, ricominciarono a edificare una nuova chiesa, più ampia della precedente, e situata in punto dove l’edificio sarebbe stato al riparo da altre valanghe. Siccome poi avevano già avuto esperienza di quanti devoti affluivano in pellegrinaggio a Prascondù, i divoti Ribordonesi non si tennero paghi della costruzione della chiesa, ma pensarono anche all’edificazione di ospizi annessi alla chiesa stessa, per il ricovero dei pellegrini. E quei lavori, incominciati dopo la scomparsa della primitiva cappella, furono proseguiti nel corso dei secoli XVIII e XIX; e così, intanto che si veniva ampliando ed abbellendo la chiesa, si venivano continuamente facendo della nuove aggiunte alle case di ricovero, fin tanto che si riuscì al grandioso Santuario che presentemente si ammira.

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Attualmente, il complesso ospita fedeli che desiderano trascorrervi periodi più o meno lunghi, oltre a gruppi di giovani. È anche sede di un museo e vi si possono acquistare oggetti ricordo o ricevere informazioni anche sulle attività che vi si svolgono.

La strada per giungere al Santuario è una strada di montagna non delle più agevoli, sconsigliabile ad automobilisti inesperti, ma se si riesce a superare le varie difficoltà del percorso, Prascondù ripaga abbondantemente.

Consiglio a tutti di andarci.