Lezione 8^ - San Benigno: Fruttuaria, San Giorgio, Montalenghe, Orio, San Maurizio, Salassa, San Ponso, Ciriè, Nole, Favria, Rivarolo.
Ho già accennato, in precedenza, a proposito di Belmonte, all’abbazia di Fruttuaria. Non fosse che per tale collegamento, è opportuno aggiungere qualche notizia riguardante questa abbazia: essa non rientra in nessuna delle tipologie prese in esame nel presente corso, ma si tratta di un edificio sacro avente un certo rilievo non solo nella storia locale, quindi non lo si può passare sotto silenzio.
Guglielmo da Volpiano, illustre sconosciuto anche per moltissimi canavesani, fu invece figura di notevole rilievo nel basso Medioevo. Ebbe infatti parte non secondaria nella cosiddetta Riforma Cluniacense, un ordine monastico fondato nel 909 (o 910) a Cluny, in Borgogna, dall’abate Bernone, che riprese, ammodernandola, la Regola benedettina.
Guglielmo, detto da Volpiano anche se nato nel 962 all’isola di San Giulio nel lago d’Orta, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica: ad Ivrea se ne celebra la ricorrenza il 1° gennaio. Per l’esattezza, va detto che si trova nella situazione di pre-canonizzazione, ma ciò non sminuisce la sua figura.
Suo padre era un nobile svevo, Roberto; sua madre, Perinzia, secondo alcuni studiosi era sorella di Arduino di Ivrea.
Guglielmo, oltre la sua attività di monaco, abate, appassionato di musica, acquistò grandi meriti nel campo dell’architettura.
Nel 989, quando da poco era divenuto abate del monastero di Digione, diede l’avvio alla ricostruzione della chiesa di Saint-Bènigne.
Successivamente, fu responsabile della costruzione dell’abbazia sul famosissimo Mont Saint-Michel, progettando personalmente la chiesa in stile romanico.
Ma, per il Piemonte e specialmente per il Canavese, riveste particolare importanza la sua attività svolta nella cosiddetta terra di Fruttuaria. Là dove oggi sorge San Benigno Canavese, Guglielmo diede vita ad un complesso abbaziale, destinato ad avere un’esistenza lunga ma quanto mai travagliata.
La posa della prima pietra è del 23 febbraio 1003: tanto importante appariva il progetto di Guglielmo, che a quel fatidico atto presenziarono Ottobiano, vescovo di Ivrea, e Arduino, marchese di Ivrea e re d’Italia, con la moglie Berta. Non per nulla Arduino rimase come stregato da questo sacro luogo, tanto che, verso la fine della sua vita tribolata qui si rifugiò, nell’ottobre del 1014, deponendo le insegne regali, qui morì il 14 dicembre 1015, e qui venne sepolto.
Guglielmo, dal canto suo, andrà a morire, il 1° gennaio 1031 a Fécamp, in Francia, dove si può vedere la sua tomba.
L’abbazia di Fruttuaria fu assai fiorente nel XII e nel XIII secolo: alcuni documenti riportano che nel monastero erano presenti addirittura 1200 monaci! Ben presto però, nel XIV secolo, inizia il decadimento; nel 1477 i monaci perdono il privilegio di nominare l’abate: il Papa nominerà un Abate Commendatario, che non risiederà nell’abbazia e sarà rappresentato da un Vicario. Nel 1585 papa Sisto V sopprime il monastero e vi insedia una collegiata di preti secolari e l’ultimo monaco morirà nel 1634. Il decadimento non si arresta, fin quando nel 1749 diventa Abate Commendatario il cardinale Carlo Vittorio Amedeo Delle Lanze, il quale intende riportare l’abbazia all’antico splendore, nel 1770 fece demolire, oltre al monastero, l’antica chiesa romanica, e fra il 1770 ed il 1776 ne fece costruire un’altra, in uno stile fra il barocco ed il neoclassico
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Della precedente chiesa rimase il vigoroso campanile romanico.
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Ecco alcune vedute del chiostro
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Dal 1848 non vengono più nominati abati fino al 1952, quando il Papa Pio XII concede nuovamente il titolo di abate ai parroci di San Benigno.
Una grande scoperta avvenne nel 1979, quando si costruì l’impianto di riscaldamento. Gli scavi misero in luce un bellissimo mosaico risalente al 1066, con le figure di due grifoni affrontati.
Tale scoperta portò ad ulteriori scavi, che ridiedero visibilità ad altri mosaici alle fondazioni dell’antica chiesa e vari reperti archeologici.
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Una data fondamentale è il 19 marzo 1990, allorché il papa Giovanni Paolo II presenzia alla riapertura ai fedeli dell’abbazia, concelebrando la messa. La funzione fu trasmessa in diretta televisiva su rete nazionale.
A San Benigno ricordo ancora la Cappella della Madonna delle Grazie, che nel XVII secolo era utilizzata come lazzaretto.
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San Giorgio
Il Duecento ed il Trecento furono secoli in cui il Canavese fu travagliato da numerose guerre, che a volte coinvolgevano due paesi, assai vicini fra loro, ma “l’un contro l’altro armati”. Ciò si verificò fra San Giorgio e Montalenghe. Fra i due abitati in lotta sorgeva una borgata, chiamata Misobolo, che, per sua sventura venne stretta in una morsa dai due contendenti. Il suo destino era segnato: tutta la borgata scomparve, salvo una chiesetta, intitolata alla Vergine Addolorata, forse anteriore al XIII secolo. Già da tempo la chiesetta attirava un certo numero di fedeli dell’Addolorata: vi si trovava una statua lignea tutt’ora esistente. Anni dopo, la venerazione si spostò verso un affresco della Madonna con il Bambino, da alcuni attribuita alla scuola di Gaudenzio Ferrari. Allorché nel 1662 si rese necessario costruire un nuovo edificio, l’affresco fu tagliato con il pezzo del muro su cui era stato dipinto e fu sistemato sull’altar maggiore. La chiesa, divenuta ormai un Santuario, che sarà ampliato nel 1690, vide accrescersi il numero di pellegrini e si arricchì di numerosi ex-voto.
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A proposito di questa chiesa, il Bertolotti (Passeggiate nel Canavese,vol. II) così scrive:
-E pure – soggiunse l’eremita – eglino [quelli] di San Giorgio nel 1745 vennero ad offrire un calice, un pianeta [sopravveste liturgica indossata dal sacerdote nella celebrazione della Messa], un controaltare [paliotto con cui si addobba il davanti dell’altare], due mute di cera e due voti d’argento per esser salvati da una epidemia del bestiame; ed ottennero lo scopo. E nel 1770 fecero la stessa cosa col medesimo risultato.
La chiesa parrocchiale dell’Assunta ebbe origini molto antiche: il suo campanile romanico fu eretto intorno al XII secolo, mentre l’attuale edificio risale al XVI secolo, poiché il precedente, in stile romanico, era ridotto in pessime condizioni. Quello nuovo, terminato nel 1529, rappresenta uno dei pochi esempi di chiese in stile rinascimentale nel Canavese.
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Vi fu un periodo in cui, probabilmente durante la peste del 1630, la chiesa, causa la sua lontananza dal centro del paese, venne adibita a lazzaretto.
L’utilizzazione di edifici sacri, discosti dai centri abitati, era indubbiamente motivata dalla necessità di isolare gli appestati, o comunque affetti da gravi malattie contagiose, dal resto della popolazione, in modo da frenare il diffondersi del morbo, ma in certo qual modo si voleva anche porre gli ammalati sotto la protezione del santo cui era dedicato l’edificio: se la chiesa o la cappella erano state appositamente costruite, di solito venivano dedicate a San Rocco. Infatti l’agiografia cristiana narra che Rocco, futuro santo, essendo gravemente malato, forse di peste, forse di lebbra, era andato a vivere come un eremita lontano dalla gente, e ogni giorno un cane gli portava un pane e gli leccava le piaghe: per questo nella tradizione iconografica San Rocco è sempre rappresentato in compagnia di un cane con un pane in bocca. Un ultimo motivo era la possibilità di seppellire “in loco” i cadaveri, in una terra resa sacra dalla vicinanza di una chiesa o di una cappella.
Montalenghe
La primitiva chiesa parrocchiale, dedicata a S. Pietro, risale al 1200 e fu restaurata nel 1894 da Camillo Boggio di San Giorgio in stile neo-medievale, funge oggi da cappella cimiteriale
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Orio
Ad Orio merita almeno una breve visita il tempietto di Santa Maria, divenuto edificio cimiteriale nel 1787.
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San Maurizio Canavese
Nell’enciclopedia “Il Piemonte, paese per paese” (vol. VI) si legge:
Nel Medioevo l’abitato di San Maurizio sorgeva a ridosso di un’antica pieve romanica e di un castello fortificato. Del primitivo tessuto urbano non resta traccia: l’unica testimonianza è data dall’edificio sacro, che ora ha funzione cimiteriale. La Pieve, la cosiddetta chiesa vecchia,
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fu ampliata fra l’XI e il XIV secolo con la sopraelevazione dell’abside e con l’aggiunta delle navate laterali...in tutta la costruzione si può notare l’impiego di materiale di recupero...In epoca barocca, opere straordinarie, delle quali si occupò anche l’architetto Bo, riguardarono la sostituzione della copertura delle navate e il rialzo del campanile: quest’ultimo intervento fu ritenuto indispensabile in seguito alla costruzione in facciata di un timpano di altezza superiore all’antica torre. Tra gli abbellimenti interni sono da segnalare le pitture murali: le Storie di Cristo, che risalgono alla seconda metà del XV secolo e sono attribuite ai pittori pinerolesi Bartolomeo e Sebastiano Serra, costituiscono una testimonianza notevole per il livello di maturazione artistica raggiunto.
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In un articolo, pubblicato su “Il Canavesano 2009”, si legge:
La Chiesa Plebana sanmauriziese, che affonda le sue radici in epoca medievale, è famosa soprattutto per il famoso “ciclo dei Serra”, una serie di affreschi, posti in alto, sulla parete sinistra della navata centrale, che raccontano tutta la vita di Cristo, dalla Nascita nella grotta di Betlemme alla Crocifissione. Si tratta di 24 scene di grande impatto artistico, realizzate dai maestri pinerolesi Serra sul finire del XIV secolo, che il recente restauro ha reso più nitide e chiare.
Il ciclo, di carattere pedagogico, è una delle cosiddette “Bibbie dei poveri”, strumento di insegnamento e diffusione della religione, utilizzato da parte dei predicatori domenicani o francescani di quel periodo... L’incarico per la realizzazione di tali affreschi fu affidato ai Serra il 5 dicembre del 1495, come attesta una pergamena conservata nell’archivio storico del comune di San Maurizio, nella quale è documentato il pagamento al magister Sebastiano Serra di cinquanta fiorini “ad pingendum Passionem Domini Nostri Yhesus Cristi in ecclesia parrochiali dicti loci”.
Ciriè
A Ciriè, degna di nota è la Chiesa di San Rocco, eretta all’indomani della pestilenza del 1630
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Ben più notevole è la pieve di san Martino di Liramo. Essa, con il bellissimo campanile,le due absidi e le altre strutture murarie, costituisce una delle maggiori testimonianze dell’architettura romanica in Canavese, come si può ben vedere da questa serie di immagini.
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Nole
A due chilometri a sud di Nole, andando verso la Stura, si incontra il Santuario di San Vito, nato a Mazara del Vallo (Trapani) nel 286 d. C.
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Una tabella posta presso l’ingresso è ricca di notizie riguardanti questo santuario, sorto nel XVI secolo.
Anticamente vi era un’immagine sacra dipinta su un pilone, che diventò presto punto di riferimento religioso per i presunti fatti miracolosi verificatisi intorno ad esso, tra cui si narra di uno storpio, guarito istantaneamente, che vi lasciò le sue grucce. Il Santo Martire divenne così caro ai Nolesi, che fu edificata una piccola cappella, la cui parete di fondo inglobò il pilone originario. Il Comune fece ampliare ed abbellire la piccola cappella, destinando alla costruzione le offerte dei fedeli e la metà dei proventi delle multe fatte in violazione ai bandi campestri. I lavori eseguiti fra il 1638 e il 1652 furono in parte coordinati dal signor Antonio Giacometto, consigliere della “Comunità” ed oste del paese. Nella loro modesta disponibilità economica, cittadini e “comunità” collaborarono per edificare questo segno d’affetto al Santo.
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Non ci fu un fatto di particolare rilievo che indusse i Nolesi ad un impegno così fervoroso, ma tante piccole “grazie”, che il Signore volle elargire per l’intercessione del giovane Santo. L’uso della cappella e l’affluenza dei fedeli era tale da richiedere la presenza di un addetto; si fecero allora costruire due stanze per ospitare un romito.
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I numerosi “miracoli” ottenuti per l’intercessione di San Vito vengono documentati fin dall’origine con dipinti ex-voto su tavolette di legno. Il primo di cui ci sia giunta notizia era dell’anno 1593. Più tardi si innalzarono pure il campanile e due altari laterali (1702 e 1711). Nel secolo successivo vi fu un fiorire di iniziative: l’ampliamento progressivo del Santuario e della casa del custode, l’abbellimento degli arredi e l’acquisto di apparati per la liturgia, la costruzione della nuova sacrestia (1819) e della tettoia per i pellegrini.
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Salassa
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La Chiesa parrocchiale di Salassa è una Pievania o Pieve, il cui significato ho avuto occasione di spiegare nell’introduzione all’intero corso e poi a proposito di Lugnacco.
In quell’occasione ho detto che nel XV secolo a seguito del Concilio di Trento subentròl’organizzazione in parrocchie. Pertanto anche la Pieve di Salassa divenne una parrocchia, il cui titolare veniva denominato ”rector parrochialis ecclesiae Sancti Poncii de Canapicio”: questa particolare denominazione potrebbe significare un possibile trasferimento della popolazione di S. Ponso nel vicino centro di Salassa...
...Presso l’Archivio di Stato è stato reperito anche il progetto di ampliamento delle navate laterali e del coro risalente al 1768.
La chiesa ha poi subito un’ulteriore modifica in seguito al crollo della copertura nel 1951; la ricostruzione ha modificato sia la struttura interna dell’edificio sia il suo aspetto formale esterno.
Sempre a Salassa vi è un Santuario, intitolato alla Madonna della Neve, detto “del Boschetto” per il luogo in cui sorge, a sud del paese. In questo sito, secondo una tradizione attestata da atti redatti da un notaio di Cuorgnè, nel ‘600 apparve la Vergine Maria dove, fin dal secolo precedente, esisteva un pilone, ora inserito nell’ altare. Nel volgere dei secoli la chiesa subì vari rifacimenti, fra cui un ampliamento settecentesco e la costruzione di un campanile nel 1820.
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Poco lontano vi è la cappella di San Rocco, annessa al cimitero, costruita per un voto fatto dal Comune a seguito della peste del 1630; fu poi riedificata nella seconda metà dell’Ottocento.
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San Ponso
Il complesso parrocchiale di San Ponso è uno dei più interessanti di tutto il Canavese. Il santo di nome Ponso (o Ponzo o Ponzio) era uno dei tanti martiri della Legione Tebea venerati in Piemonte.
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La chiesa fu documentata come pieve fino al 1364, ma quell’ antico edificio subì, attraverso i secoli, vari interventi, che lo modificarono radicalmente. Tuttavia, una testimonianza dei suoi tempi più antichi si può cogliere nella muratura dell’abside, nella quale si impiegò materiale di epoca romana.
Ma la parte più importante, significativa e nota è senza dubbio il Battistero. Le sua strutture risalgono secondo alcuni alla fine del X o all’inizio dell’XI secolo, ma recenti studi lo collocherebbero nell’alto Medioevo, quindi in epoca paleocristiana. Esso è collegato alla chiesa da un corridoio, come abbiamo visto lo scorso anno a proposito della pieve di San Lorenzo e del battistero di San Giovanni Battista, gioiello di Settimo Vittone.
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L’edificio è a pianta ottagonale.
Al di sopra della modesta porta d’ingresso
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vi è un curioso architrave, risalente all’epoca romana, su cui è incisa una figura di donna, che tiene fra le mani un oggetto, forse una borsa, ed è attraversata da un’iscrizione: SECUND/AEBV
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L’unica nota stonata è costituita dal campanile aggiunto nel 1585 sopra la cupola
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ma l’intero complesso emana un meraviglioso fascino, e le immagini seguenti ben lo dimostrano
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Rivarolo
A Rivarolo vi è una chiesa dedicata a San Rocco. Una prima cappella a lui intitolata fu costruita nel 1523 presso il convento di San Francesco; in occasione poi della peste del 1630, all’interno del borgo fu fabbricata un’altra piccola cappella dedicata a San Rocco, che, ampliata nel XVIII secolo e consacrata il 29 dicembre 1754, assunse l’aspetto attuale.
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Essa ci consente di concludere un argomento che ha occupato una buona parte del corso, cioè quello delle cappelle o chiese votive.
Abbiamo avuto occasione di scoprire che i Comuni o i fedeli o le stesse autorità ecclesiastiche promettevano con un voto di costruire sacri edifici, grandi o piccini, in occasione delle più svariate calamità, addirittura la presenza di lupi (a Filia) o l’infestazione di insetti nocivi all’agricoltura (a Settimo Rottaro) o un’inondazione (a Settimo Vittone) o un’epizoozia (a Torre Canavese).
Tuttavia era indubbiamente la peste, o comunque ogni altra grave epidemia, a rappresentare il maggiore spauracchio, da stornare con voti apotropaici (= che servono ad allontanare influssi maligni), gesti di fede ma di scarsissima efficacia terapeutica.
La peste più grave, chiamata peste bubbonica, fin dall’alto Medioevo fu ricorrente con episodi che talvolta sconvolsero tutta l’Europa. Basti ricordare la “peste nera”, a causa della quale tutta l’Europa, fra il 1340 ed il 1350, vide morire gran parte della sua popolazione. Essa costituì la cornice del “Decameron”, capolavoro di Giovanni Boccaccio. Un altro grande scrittore, Alessandro Manzoni, si ispirò all’altra gravissima pandemia che decimò la popolazione europea nel quarto decennio del ‘600, per scrivere alcune delle più toccanti pagine del suo capolavoro, “I Promessi Sposi”
Naturalmente anche il Piemonte ne subì tragiche conseguenze. A chi volesse avere un esempio che riguarda la città di Ivrea durante la peste del Seicento, consiglio di leggere il mio libro “Ivrea nel XVII Secolo”, in cui dedico gran parte del capitolo X a quell’immane tragedia, dallo scoppio, il 4 giugno 1630, ai suoi sviluppi ed alla lenta conclusione nell’estate dell’anno successivo.
Con questo pesante fardello da sopportare secolo dopo secolo, la devozione popolare si aggrappava ad alcuni santi ritenuti particolarmente taumaturgici: san Francesco Saverio, san Carlo Borromeo, ma sopra tutti san Rocco. Come Francesco d’Assisi, anche Rocco, nato in Francia, a Montpellier, nella seconda metà del Trecento, apparteneva ad una ricca famiglia, e, come Francesco, ad un certo momento della sua vita, ebbe una sorta di crisi mistica. Venduti i suoi beni, se ne andò pellegrino a Roma. Durante il viaggio gli capitò di assistere molti appestati, così facendo, arrivato nei pressi di Piacenza, fu lui pure contagiato; si appartò quindi in un luogo isolato, in attesa della morte. Ogni giorno un cane gli portava una pagnotta. Miracolosamente guarì, concluse il pellegrinaggio a Roma e anche mentre rientrava in patria continuò ad assistere e curare tutti i bisognosi, ma ritornato nella sua città fu scambiato per un vagabondo ed incarcerato. In prigione rimase fino alla morte. Nell’estremo della sua vita, entro una luce abbagliante comparve su una parete della prigione la scritta “Eris in peste protector”.
Tutto questo ha il sapore di una leggenda che quasi certamente racchiude una parte di verità, ma sebbene la Chiesa non avesse mai canonizzato Rocco, tuttavia nella fede popolare egli divenne San Rocco e tale titolo gli rimase fino ai giorni nostri. Tutti i dipinti che lo riguardano lo rappresentano con l’abbigliamento del pellegrino, con la sacca ed il bastone dei viaggiatori; con l’altra mano indica su una gamba una piaga della peste; al suo fianco vi è un cane con un pane in bocca. Ed a San Rocco si indirizzarono voti quando vi era una peste, ed a San Rocco nelle stesse calamità si promisero, e terminato il flagello, si costruirono, cappelle a lui intitolate.
Favria
Per finire, rechiamoci a Favria, dove si può ammirare un notevole edificio sacro, la chiesa di San Pietro Vecchio. Ci fa da guida una pagina di internet.
La chiesa di San Pietro Vecchio è posta ai margini dell’abitato di Favria, in posizione attigua al cimitero.
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Sorse come modesta cappella campestre intorno a XI-XII secolo: sono di quel periodo la parte inferiore del campanile (poi innalzato) e l’abside romanica (nascosta ora alla vista esterna dai locali della sacrestia e dalla camera mortuaria del cimitero).
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Un successivo ampliamento portò la chiesa ad assumere una struttura a tre navate e le consentì di fungere da chiesa parrocchiale. La troviamo citata in un documento del 1329 redatto in occasione di una visita pastorale: viene citata come chiesa di San Pietro del “Peza” (nome che aveva la località in cui essa è sita), dipendente dalla diocesi di Ivrea.
Alcuni frammenti di affreschi romanici emersi sotto le pitture quattrocentesche dell’abside testimoniano come la chiesa, all’altezza del XIII-XIV secolo, dovesse essere già riccamente affrescata.
Nuovi dipinti sostituirono nel XV secolo quelli più vetusti: si tratta degli affreschi dell’abside (1432) e di quelli della cappella della Madonna delle Grazie (fine ‘400, inizio ‘500). Ad essi se ne aggiungevano verosimilmente altri, oggi non più rinvenibili, che dovevano stare nella navata sinistra.
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E con questo, ho concluso il mio pellegrinaggio fra Santuari, Pievi, Chiese Cimiteriali ed altri sacri edifici, che ci testimoniano la fede dei nostri più o meno remoti antenati.