ERBE SPONTANEE
Le erbe spontanee, cioè quelle che crescono naturalmente nei nostri prati e boschi, si possono considerare le sorelle povere delle verdure coltivate e come queste ultime contengono proteine vegetali, sali minerali, vitamine in abbondanza tali da poter essere valutate alimenti completi.L’ uso di queste erbe ci ricorda che fino all’ inizio del secolo scorso in campagna erano le stagioni che regolavano l’ alimentazione e che bisognava essere previdenti come delle brave formichine e organizzarsi per i tempi di minore abbondanza come gli inverni o il sopraggiungere di calamità naturali o di eventi bellici.La cucina dei nostri avi era per certi versi molto più povera dell’ attuale e quando si utilizzavano le prime erbe di stagione come il tarassaco,(1) la cicoria (2) e l’ ortica (3) si diceva da noi che era una “cucina baciata dalle grazie del Signore”.I piatti agresti fatti di minestre e zuppe, seguiti da un bicchiere di vino, erano sufficienti per un pasto, soddisfacevano l’ appetito e stuzzicavano il palato poiché le massaie preparavano con bravura e fantasia i prodotti campestri ricchi di colori, profumi e sapori. Dopo le due guerre mondiali la cucina divenne più elaborata, si abbandonarono i piatti semplici e si passò a piatti sofisticati e raffinati; ma in questi ultimi decenni l’ alimentazione a base di erbe spontanee viene nuovamente apprezzata, infatti il crescente interesse verso di esse è indirizzato a salvaguardare e a valorizzare le tradizioni locali e il sapere popolare; non si parla più di cucina elaborata, ricca di grassi, ma di piatti semplici, veloci da cucinare, ricchi di profumi di sapori e contemporaneamente di nutrimento. Il fatto che la donna si sia emancipata e non venga più considerata “l’ angelo del focolare”poichè ha acquistato la sua indipendenza economica e quindi ha meno tempo da dedicare ai fornelli e così pure il notare che l’ alimentazione troppo ricca di grassi porta serie conseguenze all’ organismo ha facilitato il ritorno all’ uso di una cucina più sobria, ma ugualmente nutritiva.Molti chiamano alcune erbe spontanee “erbacce”, perchè si diffondono rapidamente, invadendo terreni e campi, ma non è del tutto vero, poiché crescendo nel loro terreno ideale, si sviluppano naturalmente, seguendo il proprio ritmo biologico, senza artifici e concimi chimici, sotto il calore del sole per cui la nostra tavola potrà arricchirsi di verdure fresche, oppure le si potrà conservare.( spiegazioni su come raccogliere le erbe ).Da ricordare che ogni pianta arriva a maturazione in un determinato periodo, durante il quale è bene raccoglierla; il tempo di raccolta viene chiamato “periodo balsamico” ed è diverso per ogni pianta, ma è il momento in cui contiene il maggior numero di principi attivi ( oli essenziali,alcaloidi, tannini, sostanze amare, amidi). Secondo le parti usate della pianta si distinguono vari periodi di raccolta, soprattutto foglie e fiori vanno raccolti all’ inizio della fioritura, quando i fiori non sono ancora del tutto aperti e le foglie sono le più tenere. Molte di queste erbe possono essere essiccate mantenendo inalterate le loro proprietà. Si fanno essiccare preferibilmente all’ aria aperta, evitando il contatto diretto col sole; in caso di tempo umido essiccarle nel forno, senza chiuderlo, a 35° finché le foglie non diventano friabili. (50° per le radici) Altre vengono congelate per poterle mangiare come appena colte; il colore non sarà più lo stesso, ma il gusto non verrà alterato. Bisogna lavarle bene e cuocerle brevemente a vapore; lasciarle sgocciolare, distribuirle nei contenitori, scrivendo il nome delle erbe.La “Phitoalimurgia” che letteralmente significa ”alimenti vegetali spontanei raccolti dall’ uomo in momenti di carestia” è la raccolta di piante spontanee fatte con conoscenze specifiche per evitare danni a volte gravi al nostro organismo.Le preparazioni con queste erbe possono essere semplici, ma anche complesse, veloci o ricercate sia per la cucina di tutti i giorni che per quella delle feste; sta a noi il compito di saperle apprezzare e valorizzare. Inoltre in cucina è particolarmente riuscito l’ abbinamento tra le erbe spontanee e i secondi vegetariani a base di legumi, perchè la presenza delle erbe migliora la digeribilità del piatto e il loro sapore intenso, talvolta amarognolo, contrasta piacevolmente col carattere più dolce e neutro dei legumiVari sono i benefici dovuti all’ uso delle erbe spontanee in cucina:(4)-ho già detto che crescono spontaneamente nel loro habitat senza manipolazioni e quindi rimangono inalterati i loro contenuti di vitamine e sali minerali-riducono il consumo di fertilizzanti in agricoltura e non necessitano di costi di trasporto perchè sono alla portata di tutti- sotto il profilo sociale hanno un’incidenza enorme sulla qualità della vita perchè riducono il rischio di malattie cardio - vascolari e oncologiche, che sono la causa principale di morte, dovute ad un’ alimentazione troppo ricca di proteine, zuccheri e grassi.- favoriscono l’ idratazione dell’ organismo essendo ricche d’ acqua, mantengono l’ equilibrio salino, aiutano a tenere il peso sotto controllo.- contengono antiossidanti per un’ azione anti-invecchiamento della pelle e regolano la funzione intestinale.-favoriscono quella che molti definiscono una dieta “sostenibile”poiché migliora il sapore di molti piatti stuzzicando l’ appetito. A questo proposito molta importanza per l’ assimilazione di queste erbe spontanee ha il metodo di cottura:per prima cosa le verdure che si sviluppano sotto terra (radici, cipolle,carote, rape) si mettono sul fuoco in acqua fredda, mentre le altre che crescono in superficie vanno sul fuoco in acqua calda; la cottura al dente serve per conservare le fibre, l’ indice glicemico e l’effetto di sazietà; al vapore, con uso della vaporiera, conserva il sapore originale dell’ erba, mentre quella al cartoccio, con l’ aggiunta d’ erbe aromatiche, permette di unire i sapori e i profumi; anche importanti i materiali di cui sono fatte le pentole, le più usate attualmente sono in acciaio inox che hanno un’ ottima resistenza agli urti, agli sbalzi di temperatura, alle abrasioni o in ceramica smaltata che sono le pentole di ultima generazione e si adattano ad ogni tipo di cottura, inoltre il loro rivestimento è facile da pulire e si adatta ai piani di cottura a gas, elettrici. Le pentole in terracotta sono indicate per le cotture lunghe ed a temperature costanti come i legumi, i minestroni, mantengono il cibo a temperatura uniforme e sono belle da portare in tavola, ma sono molto fragili, sensibili agli shock termici e vanno sempre usate con lo spargifiamma per evitare che la fiamma del fornello sia a diretto contatto con il coccio e per distribuire il calore uniformemente. Le pentole in alluminio sono ottime per i brasati, gli arrosti perchè l’ alluminio è un materiale che conduce bene il calore, garantendo un notevole risparmio energetico, ma è sconsigliato conservare per diverse ore alimenti cotti, specialmente se acidi o salati per l’ ossidazione spontanea del metallo, le pentole in ferro vanno bene per cotture brevi e a calore elevato come le frittate. Le pentole in ceramica smaltata sono di ultima generazione e si adattano ad ogni tipo di cottura, ma è bene usare quelle trattate con smalti apiombici per evitare interferenze con le verdure da cuocere. Le pentole a pressione poi sono molto utili per la loro rapidità, ma cocendo i vegetali a temperature così elevate perdono molto dei loro principi attivi.[Libri utili a questo proposito ”Cucinare le erbe selvatiche” di Davide Ciccarese che offre una panoramica sulle varietà più comuni rintracciabili sul nostro territorio pronte per essere messe in padella; oppure “Buone ricette con erbe e fiori” di Bianca Rosa Gremmo Zumaglini con piatti genuini , gustosi e salutari (ED Leone- Griffa, si trova anche in biblioteca); ancora, “Erbe in cucina” di Henning Seehusen , l’ Airone, dove vengono citate le erbe utili ad insaporire le nostre ricette- “Ricettario di cucina piemontese di C. Brero]Dai tempi più remoti l’ alimentazione si basa sull’ uso di erbe selvatiche e ne troviamo testimonianze, spazianti dagli antichi popoli andini alle civiltà orientali; tra le antiche memorie documentate di uso delle erbe in cucina troviamo il papiro di Ebers che descrive le erbe alimentari sia spontanee che aromatiche usate in Egitto; anche testi greci e latini descrivono l’ impiego in cucina di erbe spontanee come la malva (5) e la cicoria. Della malva era molto ghiotto Cicerone, tanto è vero che ne faceva indigestione e i Romani consideravano questo vegetale una prelibatezza da usare nei pasti raffinati; oggi la malva si usa per fare soprattutto minestre. L’ elenco di queste erbe è molto lungo: tarassaco, ortica, artemisia, bistorta, buon Enrico, luppolo, malva, papavero selvatico, trifoglio, cicoria, borragine, portulaca, primula, sambuco, asparago, issopo, erba cipollina, ma ritengo che dente di leone, aglio orsino, ortica e cicoria siano le erbe spontanee più usate; tuttavia anche l’ achillea, il crescione dei prati, la consolida e molte altre varietà costituiscono un campo pressoché inesauribile per i cuochi più creativi. Molte di queste erbe sono già state trattate negli anni precedenti.In generale si possono mangiare crude in insalate o scottate leggermente a vapore, magari aggiunte a farinate, frittate, zuppe come cicoria, bardana, carota selvatica, altre servono per fare infusi, decotti, marmellate... La primavera è la stagione delle erbe spontanee: verso la fine di febbraio, con l’ allungarsi delle giornate, col diradarsi delle gelate notturne, la natura inizia il suo risveglio e nei prati, nei boschi, lungo i muri, ai piedi delle viti allineate e potate per la nuova stagione spuntano insieme ai primi fiori le tenerissime erbette, tanto è vero che un vecchio detto piemontese recita “ il corpo in primavera ha bisogno di pulirsi e il sangue di purificarsi, quindi niente di meglio delle erbe cotte”. Ancora un vecchio proverbio piemontese sostiene:”tutta l’erba che a primavera alza la testa è buona per fare la minestra”. Scientificamente si è dimostrato che tutte le verdure e i legumi di color verde sono ricchi di magnesio, selenio, vitamina C che sono utili per il buon funzionamento del sistema vascolare e per depurare il sangue. Un esempio di sfruttamento di queste belle qualità: si prepara un mazzetto di erbe fresche e fiori primaverili; si lavano bene e si mettono a cuocere nell’ acqua salata con un pezzo di burro; a parte, in una zuppiera, si preparano delle fette di pane ben abbrustolite, con sopra 2 uova sbattute, che verranno poi coperte dal brodo del mazzetto. Un tipico menù a base d’ erbe deve tener conto dell’ andamento stagionale e cercare di far arrivare sulla tavola alimenti giunti a maturazione nella loro naturale epoca e in un contesto che non si discosti troppo dalle condizioni climatiche ed ambientali nelle quali viviamo. Non è necessario ricorrere alle cosidette ”primizie” dato che quasi tutto l’ anno è possibile reperire erbe spontanee. Si racconta che Enrico IV di Navarra (1553-1610) alla fine di un periodo di carestia permise al suo popolo di entrare nei giardini reali e di cibarsi del “buon Enrico”(6) o spinacio selvatico, erba spontanea che cresce anche ai giorni nostri ai piedi delle Alpi, ricco di ferro,(7) ottimo nelle minestre, nei risotti, nelle frittate (8), nelle tagliatelle (9), cotto diventa un ottimo contorno coi piatti di carne; eccellente soffritto con olio e burro e, con aggiunta di panna, formaggio grattugiato, diventa ottimo contorno per la salsiccia. I germogli possono essere preparati come gli asparagi, ma è meglio cuocerli a vapore, per mantenere inalterato il sapore .Anche l’ortica, ricca di ferro e vitamina C, (10) si comporta come gli spinaci e le bietole. Per neutralizzare il suo effetto urticante, dopo averla raccolta e tagliata con guanti e forbici, basta passarla a lungo sotto un getto d’ acqua fredda e prendere solo le foglioline più tenere e le cime più verdi che diventeranno un ottimo ingrediente per ricette (11). Saltata in padella con poco olio o una noce di burro può accompagnare carni, pesci e uova. Una volta scottata, l’ ortica è ideale per preparare risotti, frittelle, quique e torte salate; (12)inoltre le sue cime possono insaporire formaggi freschi e farcire, insieme ad una buona ricotta, succulenti ravioli. Per l’ insalata vanno colte foglie molto giovani, altrimenti si rischia di ritrovarsi con spiacevoli bollicine sulla lingua: per evitare ciò si deve ricorrere ad una breve cottura. Si possono preparare minestre d’ ortica e riso, si può fare anche una buona tisana da bere al posto del te mettendo le foglie d’ ortica in infusione con alcune foglie di menta.Le foglie si possono essiccare all’ ombra e, secche, perdono il loro potere urticante. (13-14-15)Il tarassaco o dente di leone o soffione (16) derivante da due parole greche significanti “rimedio allo scompiglio”, ha un sapore amarognolo e i germogli chiusi, quando vengono arrostiti, ricordano il sapore dei funghi (17); è molto comune nei nostri prati ed è una delle migliori insalate selvatiche da raccogliere prima che si formino i fiori. É ricco di ferro e di sali minerali ed essendo note le sue proprietà diuretiche viene consumato molto in primavera per depurare l’ organismo, tanto è vero che viene chiamato anche “pisciatello” In linea generale è meglio consumare cotte le foglie esterne più grandi e riservare le foglioline più tenere alle insalate crude. Le foglie sono buone anche saltate in padella con aglio e olio, lessate e condite con olio e limone o aceto, oppure in insalate miste o ancora cotte al vapore e poi gustate come gli spinaci (18). Inoltre le foglie trovano largo impiego nella preparazione di ripieni per ravioli, per torte salate, polpettine, fagottini. I boccioli si possono conservare sott’ aceto come i capperi; con i petali si può fare un’ ottima marmellata (19-20-21). In primavera è piacevole gustare una frittata di luppolo o un risotto con carletti (22), fiori di una particolare varietà di luppolo piuttosto rara. Il luppolo, ben conosciuto da tutti noi, serve per preparare minestre, pasta ripiena, essendo ricco di sali minerali; si può fare anche una via di mezzo tra risotto e minestra: s’ insaporisce nelle erbe il riso con un soffritto di cipolla e poi si aggiunge il brodo in quantità tale da ottenere la consistenza del risotto e quindi non brodoso. Plinio sosteneva che il luppolo è un’ erba parassita e lo definiva “erba dei salici” perchè prende la loro linfa e li fa seccare. Serve per aromatizzare la birra e le conferisce quel sapore amarognolo. La birra era già citata nel codice di Hammurabi (1750 a. C.), dove venivano inflitte punizioni a coloro che la producevano a gradazione alcolica bassa o la vendevano a prezzo troppo caro; in quel periodo la bevanda era prodotta senza il luppolo e aveva un aroma più dolce e meno gradevole al palato, il luppolo come componente della birra venne introdotto dai tedeschi solo nel IX secolo.L’ aglio orsino (23), è così denominato poiché è il primo vegetale che mangiano gli orsi al loro risveglio dal letargo, per il bisogno di depurare l’ organismo; si trova verso la fine di marzo e le sue foglie perdono l’ aroma se non vengono adoperate al più presto in cucina. L’ aglio orsino può facilmente essere scambiato col velenoso mughetto e in caso di dubbio basta stropicciare le foglie: l’ aglio orsino emana odore di aglio. L’ aroma (24) migliore si sviluppa all’ inizio di maggio prima della fioritura. Le foglie vanno tagliuzzate in insalata e aromatizzano le patate lesse con il loro sapore speziato, meglio dell’ erba cipollina che ha un sapore dolce , meno intenso. Le foglie tritate e unite al burro donano un tocco delicato al pesce; ottime anche spalmate sul pane tostato. Si può fare anche l’ olio all’ aglio orsino: tagliare alcune foglie fresche a striscioline, metterle nell’ olio d’ oliva e quando le foglie iniziano a scurirsi, toglierle e filtrare. Si può mescolare anche il burro con aglio tritato, aggiungere un po’ di sale ed eventualmente pepe. I bulbi (25) vengono usati come aglio e aromatizzano minestroni, sughi, solo che il sapore è meno intenso e più raffinato, ed anche salse, di cui una assomiglia al pesto. Conferisce un aroma consistente ai formaggi freschi e il risotto all’ aglio orsino è il coronamento della cucina a base di riso. É meglio usare in cucina le foglie fresche, perchè essiccato perde molto del suo sapore robusto e gradevole, tuttavia il bulbo può essere tagliato in 2 parti essiccato al sole e le foglie, essiccate all’ ombra, possono essere conservate in sacchetti di carta.Si possono conservare le foglie tenere e giovani mettendole nel mixer o meglio ancora tritandole finemente, aggiungendo olio e sale marino ricoprendo il tutto e poi mettendolo in vasi a chiusura ermetica (26-27-28). L’issopo (29-30) ha un aroma (31) deciso e un sapore piccante, forte e amarognolo; si usano foglie e fiori raccolti all’ inizio della fioritura che servono per preparare salse e ripieni, ma bisogna dosare con cura perchè non sovrasti il gusto degli altri ingredienti. Alcuni cuochi aggiungono i fiori alle insalate soprattutto di pomodoro e cetriolo; altri sostengono che le foglie, usate in piccola quantità, favoriscono la digestione della selvaggina e delle carni grasse. Sia foglie che fiori insaporiscono minestre e frittate; le spighe dei fiori servono ad aromatizzare aceti e liquori (32). Si fonde bene con prezzemolo, sedano, finocchio, menta, maggiorana e basilico. Un piatto tipico canavesano che facilita la digestione è la zuppa di castagne all’ issopo (33): lessare le castagne e sbucciarle, mettere in una padella 1 cipolla tagliata a fette, prosciutto crudo tagliato a dadini, 2 foglie d’alloro e 1 rametto d’ issopo. Salare e cuocere il tutto, scolare e recuperare il brodo di cottura, passarne metà nel passa verdure e rimettere in pentola il tutto con acqua di cottura e 1 litro di brodo di vitello. Fare bollire per 15-20 minuti e unire la panna fresca, servire con crostini di pane dorati al burro.Nel medioevo era usato in cucina come pianta aromatica per insaporire soprattutto selvaggina; nel 1764 nacque in Francia il famoso liquore Chartreuse, (34) ottenuto con 130 erbe, una delle quali era ed è ancora oggi l’issopo. Con altre 17 piante l’ issopo entra nella composizione del tè svizzero (35). Questo tè si ricava da una pianta coltivata a cespuglio che vive nell’ orto botanico delle isole di Brissago sul lago Maggiore; si tratta di una pianta simile alla camelia sinensis , albero tipico del te che cresce in un clima caldo umido La foglia d’ issopo si usa per la preparazione del vermouth e del liquore d’ assenzio. La cicoria (36),definita “bruttona” per il suo aspetto poco attraente, è tra le varie erbe spontanee certamente una delle più comuni con il suo sapore rustico e amarognolo (37).Era già conosciuta dai Greci e dai Romani come erba depuratrice del fegato e rinfrescante di tutto l’ organismo. Le sue foglie vengono lessate e mangiate con un filo d’ olio , un po’ di limone e uno spicchio d’ aglio, ma bisogna raccogliere le foglie al momento giusto, non quando sono ancora troppo piccole, né quando hanno fatto il fiore e sono grandi e dure, ma quando le foglie sono tenere e carnose, quindi in primavera. Si possono consumare anche cotte e in minestrone (38). Prima di essere consumata la radice deve essere lasciata per qualche ora immersa nell’ acqua per diminuire il sapore amaro, anche se in questo modo si perdono alcune sostanze nutritive.Nella cucina italiana si faceva fino alla metà degli anni 50 largo uso di cicoria ed era abitudine adoperarla nelle famiglie contadine poiché questo tipo d’ erba che cresce in terreni asciutti ed incolti e che è facilmente riconoscibile, poteva essere raccolta direttamente nei prati a primavera. Dopo il boom degli anni 60, con il sopraggiungere del benessere la pratica di raccogliere la cicoria nei campi si è persa e visto che era simbolo di povertà, è stata allontanata dalla tavola, fino a ritornare in auge in questi ultimi anni e le insalate diventano sempre più ricche, aggiungendo uova sode, acciughe sott’ olio, senape , olio e aceto di vino bianco. Con la radice tritata e torrefatta si usa preparare il caffè di cicoria che è un surrogato del caffè e che venne usato a partire dal XVII secolo. Curioso a questo riguardo è l’episodio del blocco continentale operato da Napoleone nel 1806 che, vietando ogni importazione di prodotti provenienti dall’ Inghilterra e dalle sue colonie, contribuì a diffondere l’ uso di questo caffè, che poi cadde in oblio e tornò nuovamente di moda durante la due guerre mondiali visto la penuria di generi alimentari (39-40-41). La bistorta (42) chiamata anche serpentina è un erba spontanea perenne ed il suo nome è dovuto al fatto che presenta un grosso rizoma (43) per lo più doppiamente contorto che si usa sia in polvere per fare una specie di farina che un tempo veniva usata per fare il pane essendo ricca di amido, sia essiccato e macinato come surrogato del caffè. Le parti con notevoli pregi in gastronomia sono le foglie che hanno gusto delicato e leggermente acidulo e possono entrare in cucina alla stregua di tante verdure coltivate. Sono ottime unite a minestre, oppure lessate e cucinate come gli spinaci, o come ripieno per i ravioli; si fanno frittate alle erbe di montagna unendo alle foglie di bistorta cime di ortica, foglie di primule, violette, erba brusca (acetosa) e fragoline di bosco. Aggiunte ad insalate rustiche contribuiscono ad arricchirne il sapore. Si possono fare anche torte di erbe miste (ortica, bistorta, papavero, aiucche, portulaca) con aggiunta di fontina, parmigiano grattugiato, pane ammorbidito nel latte e uova. In Valchiusella si usa preparare la zuppa d’ ajucche con la bistorta. Le foglie (44) vanno consumate fresche, mentre le radici, raccolte in autunno,si tagliano trasversalmente a forma di dischetto e si fanno essiccare al sole (45-46-47). La bistorta è ricca di tannini, perciò è bene evitare il contatto con recipienti in ferro, inoltre contiene ossolato di calcio e quindi è sconsigliata a chi soffre di calcoli renali. La Portulaca, ricca di vitamina C veniva usata per combattere lo scorbuto; (48) a volte cresce spontanea anche negli orti, ma generalmente si coltiva a scopo ornamentale per i suoi fiori suggestivi. Approdò alla corte di Luigi XIV come insalata e verdura per la cucina regia; da allora fu coltivata in grande stile, per poi cadere nel dimenticatoio ed essere ingiustamente considerata solo erbaccia; oggi (49) è nuovamente un’ apprezzata erba da insalata. Le foglie e i germogli si usano sia crudi che cotti ed hanno un sapore acidulo. Quando l’ insalata è consumata da sola viene condita con olio e sale, oppure con condimenti più forti come jogurth o mostarda, si può mescolare ad altre erbe come menta , crescione, basilico o ad ortaggi come pomodori e cipolle. Mentre in insalata cruda si preferiscono i germogli e le foglioline, per utilizzo come verdura cotta si può usare tutta la pianta, tranne le radici. Quando è cotta assume una consistenza mucillaginosa che ad alcuni non risulta gradita; per ovviare a ciò, dopo la cottura si può mescolare ad altre verdure dal sapore robusto, cotte separatamente. Quando si vogliono restringere le minestre o gli stufati la mucillagine può risultare vantaggiosa (50). Sempre cotta si può unire a formaggio, uova sode e utilizzarla nelle frittate. Fresca si conserva a lungo in frigo; cotta si può congelare, ma una volta scongelata è preferibile consumarla nella minestra o nel passato di verdura.Le foglie si possono conservare anche sott’aceto.I semi interi possono essere usati come i cereali nelle colazioni, nelle zuppe a base di cereali o di legumi, mentre la farina (ottenuta dai semi essiccati e macinati) mescolata a quella del grano si presta per dolci, pane ed altri prodotti lievitati (51- 52). Non dobbiamo dimenticare anche gli umili fiorellini primaverili con i quali si possono preparare infusi, sciroppi, liquori, marmellate, insalate, gelati; a volte possono entrare anche nel piatto per decorarlo bene, da ricordare nei tempi passati il classico sciroppo ai fiori di pesco usato come lassativo per i bimbi, o quello a base di papavero per conciliare il sonno e ancora gli infusi con la viola o la rosa canina per le affezioni della gola e della trachea. Tra i fiori spontanei i più utilizzabili in cucina sono la primula, la viola, la margheritina (53), che tritate si usano nelle insalate con sale, pepe, qualche gheriglio di noce tritata, olio e poco succo di limone; vengono usate anche per guarnire e aromatizzare formaggi freschi.Molto decorativi sono i fiorellini di primula o di altri fiori nel ghiaccio: raccogliere, secondo la stagione fiorellini freschi di borragine, viole mammole, primule, malva, gelsomino, margheritine, non ti scordar di me, piccoli boccioli di rosa canina, fiori di pesco; lavarli delicatamente e metterne uno in ogni spazio della vaschetta del ghiaccio; riempire con acqua e porre nel freezer a congelare; si otterranno così dei deliziosi cubetti di ghiaccio per decorare bevande fredde, limonate, tè, succhi di frutta, frullati e frappè o, semplicemente, per guarnire la brocca dell’ acqua da portare in tavola oppure il bicchiere di whisky da sorseggiare in una serata con amici.. Per concludere, eccovi la ricetta del piatto fiorito (54).Usare piatti piani bianchi, pennellare il fondo di ogni piatto con un velo di gelatina, preparata con la colla di pesce e insaporita con un po’ di Porto o di succo di limone, lasciar rassodare in frigo. Preparare dei fiorellini di stagione tagliando lo stelo rasente alla corolla: si possono usare myosotis, margheritine, viole, primule, petali di fiori commestibili quali la rosa canina, la calendula, la borragine, la malva, il pesco, il gelsomino, frammenti di petalo di papavero, fili di erba cipollina o quanto piace o si trova. Con fantasia creare un giardinetto sul piatto con il fondo gelatinoso. Versare con molta cautela, usando un cucchiaino, ‘poca gelatina liquida e fredda, badando a non smuovere i fiori; se ciò avvenisse, ricomporre aiutandosi con uno stecchino. Lasciare rapprendere, poi rimettere in frigo: i fiori rimarranno imprigionati nella trasparente gelatina. Presentarli in tavola un attimo prima che gli ospiti si siedano a tavola.Durante la stagione invernale si può rimediare con fiori ricavati da fettine di carote, zucchini, barbabietole, sottili rondelle di porro o di cipolle rosse, lessate al dente e unite a foglioline di prezzemolo, cerfoglio e crescione.